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Ecco le leggi razziali sui cani Fido straniero? Viene tassato

Neo-nazionalismo magiaro. In Ungheria il balzello sugli esemplari esteri. Speriamo che non inventino la gabella sugli animali

Andrea Tempestini
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Le casse ungheresi sono vuote, e il governo del conservatore e nazionalista Viktor Orbán ha trovato un espediente per riscuotere altro denaro e difendere l'identità magiara: tassare i proprietari dei cani di razze non ungheresi. Il provvedimento consente ai comuni di imporre un tributo di circa 6mila fiorini (poco meno di 20 euro) per i padroni di cani tranquilli, fino a un massimo di 20mila (65 euro) per le razze pericolose, come il pitbull o il dogo argentino. Grazie però a un inedito razzismo canino, sono totalmente esenti i padroni di razze magiare doc stanziate in Ungheria circa mille anni fa insieme alle antiche tribù ungare nomadi, come il vizsla o bracco ungherese e il puli specializzato nel riporto in acqua. E poco importa che tra le razze di cani non degenerate ce ne siano alcuni, come il komondor e il cane da pastore kuvasz, che pur essendo ungheresi purosangue e dunque esentasse, sono tuttavia considerati aggressivi, e addirittura il focoso kuvasz, usato per tenere alla larga i lupi dalle greggi, secondo le statistiche è responsabile della maggioranza dei morsi registrati in Ungheria. Ai sensi della nuova legge approvata dal parlamento e che rivede il vecchio testo sulla protezione degli animali del 1998, il morso del cane ungherese non è come il morso di un cane di razza straniera: farà male allo stesso modo, ma non è soggetto all'imposta. La legge prevede un censimento ogni tre anni dei padroni di cani, da svolgersi con la consulenza dei veterinari, per determinare l'imponibile canino. Ma gli stessi veterinari hanno cominciato a mettere in guardia dagli effetti perversi della legge, temono che si scateni un massiccio abbandono di cani nelle strade, con vagabondaggi incontrollati di animali come è accaduto in Romania dove è stata emanata una legge per l'abbattimento dei randagi, o come in Ucraina, dove in vista dei prossimi campionati europei di calcio, la popolazione di randagi è stata sterminata con avvelenamenti e altri metodi sbrigativi. Forse non succederà nulla del genere, forse i padroni sopporteranno questa grottesca discriminazione e pagheranno la tassa prevista per il loro cane retrocesso da beniamino della famiglia a bene di lusso da tassare come una Ferrari, sbattuto per legge nella casta degli intoccabili. Magari qualcuno pregherà in ginocchio il veterinario di camuffare il proprio pastore tedesco da bracco ungherese, e qualcun altro lo terrà nascosto in soffitta, con le tende sempre tirate, sperando che il fisco non proceda a un'ispezione munito di ossi profumati e fischietti da richiamo. C'è da sperare che il razzismo canino non sia un esperimento preliminare verso un'applicazione della tassazione razziale anche agli umani, ma anche non ipotizzando un simile esito il provvedimento desta allarme. Prima di questa legge il razzismo, rispetto agli animali, era confinato su un piano di differenza di specie, opponendo chi ritiene la specie umana incomparabilmente superiore a qualunque altro animale, e dunque anche ai cani, e chi invece ritiene giusto applicare concetti di dignità e valore morale anche ai nostri ancestrali compagni a quattro zampe. Adesso con questa legge si procede a un cambiamento di paradigma: il razzismo è interno alla specie canina, superiori e inferiori, puri e corrotti, sommersi e salvati sono individuati nell'insieme dei cani. Ma a ben guardare, è solo il caro vecchio nazionalismo a tinte razziste che, scacciato dalla porta tragica della specie umana, rientra come farsa dalla finestra dei salotti come cane non deducibile per via del sangue forestiero. di Giordano Tedoldi

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