Doni a Libero: Io sotto un treno Non fuggivo, temevo i ladri
Calcio e scommesse: il capitano dell'Atalanta nel carcere di Cremona, isolato, senza tv e giornali. Oggi sarà interrogato dai pm
Nel corridoio al primo piano del carcere di Cà del Ferro ci sono l'infermeria e una decina di celle, compresa quella di Cristiano Doni. L'ex capitano dell'Atalanta, l'arrestato eccellente di Scommessopoli, è in giubbotto nero di pelle e tuta, gli stessi vestiti che indossava lunedì mattina quando la polizia si è presentata nella sua villa. «Mi sento come se mi fosse passato sopra un treno»: sono le sue prima parole che escono dalla casa circondariale di Cremona. L'assessore della Regione Lombardia al Territorio Daniele Belotti e il deputato Giacomo Stucchi (entrambi leghisti, bergamaschi e tifosi dell'Atalanta), che ieri, alla vigilia dell'interrogatorio davanti al gip, sono andati a trovare Doni, erano preparati al peggio, ma non si aspettavano di vederlo in queste condizioni. «Sono distrutto. Non riesco a dormire, mi sono fatto dare un libro dalla biblioteca del carcere ma non ce la faccio a leggerlo», dice. Da quando è finito dietro le sbarre, non ha potuto guardare la televisione, né sfogliare i giornali, né parlare con i suoi avvocati. Il divieto scade oggi. È in cella da solo, ma durante la giornata ha dei contatti con gli altri detenuti ed è da loro che ha saputo cosa fuori si dice e si scrive su di lui. «Mi hanno informato sul fatto che, lunedì, avrei tentato di fuggire. Non è assolutamente vero, c'è stato un malinteso. Era molto presto, quando ho sentito suonare al citofono ho pensato fossero dei ladri, è per questo che sono sceso giù in garage». Nella camera di sopra era rimasta Giulia, la figlia di otto anni. «Ho cercato di non svegliarla, probabilmente non si è accorta di nulla anche perché i poliziotti venuti per arrestarmi sono stati molto rispettosi». Poi Doni è stato trasferito da Bergamo a Cremona, ma ha rimosso quei momenti. «Non mi ricordo di quando sono arrivato qui e di quando sono entrato in carcere». Doni ha parlato poco di sé e molto dei suoi cari. «Sono preoccupato per la mia famiglia». Soprattutto della figlia. Quando Belotti e Stucchi hanno tentato di rincuorarlo dicendogli che la vedrà presto, ha avuto un crollo. Ma per un attimo ha anche scherzato. È stato quando ha commentato le quattro reti rifilate, mercoledì sera, dall'Atalanta al Cesena. Ha segnato anche Federico Peluso, un terzino. «Per vederlo fare un goal dovevo andare in galera». Lì, in galera, «con gli altri detenuti non ho avuto nessun problema, ringrazio la direttrice per come si sta comportando». Natale è alle porte. «Spero di tornare a casa il prima possibile». Il colloquio è durato quasi un'ora. «Ci siamo congedati da lui dicendogli che ci saremmo visti fuori. Lui ci ha salutati come fa sempre: senza parole e con un abbraccio. Una scena che non potremo mai dimenticare», dicono Belotti e Stucchi. Accomiatatisi da Doni, hanno avuto un colloquio più breve con Filippo Carobbio, un altro calciatore bergamasco, ex dell'AlbinoLeffe, attualmente in forza allo Spezia, pure lui tra i 17 arrestati. «Rispetto a Doni è decisamente più tranquillo, più sollevato, forse perché è già stato interrogato». Oggi tocca al “capitano” sedersi davanti ai magistrati, sarà l'ultimo della lunga serie. «Stanotte devo cercare di dormire per riordinare le idee». Ci sarà riuscito? di Gilberto Bazoli