Tasse, spread e Pil in calo del 3%; tutte le cifre che inchiodano il premier
Più tassi meno incassi. Adesso lo dice anche il governo: sarà recessione dura. Primavera, si rischia la manovra bis
Più tassi gli italiani, meno tasse incassi. Senza bisogno di scomodare i centri studi specializzati nazionali e internazionali, è lo stesso governo Monti ad ammettere in un documento ufficiale inviato alle Camere che la sua cura rischia di provocare più guai che benefici. Il documento è firmato dal viceministro dell'Economia, Vittorio Grilli, ed è la “relazione concernente gli effetti di correzione degli obiettivi della manovra finanziaria per il triennio 2012-2014”. È fatto soprattutto di tabelle, analizzate a fondo dai tecnici dei servizi bilancio riuniti di Camera e Senato. Così hanno scoperto che la cura Monti si basa su «risorse ch vengono reperite prevalentemente dal lato delle entrate, pari a oltre 21 miliardi nel 2012 (78% delle risorse), 23 miliardi nel 2013 (72% delle risorse) e 22,6 miliardi nel 2014 (67% delle risorse). Per tre quarti (e non per due terzi come si era calcolato inizialmente) la cura Monti è fatta di tasse. Ciononostante le entrate tributarie previste da Grilli sono in calo dell'uno per cento nel 2012, dell'1,4 per cento nel 2013 e dell'1,5 per cento nel 2014. Perché? Semplice: perché scende il prodotto interno lordo dell'Italia. Secondo il governo - che per la prima volta in un documento ufficiale lo ammette - calerà almeno dello 0,4% nel 2012 per poi risalire piano piano nel biennio successivo. Secondo i tecnici di Camera e Senato non è chiaro se quel -0,4% già comprende gli effetti della manovra, perché Grilli non lo dice. Ma dalle sue tabelle è chiaro che «la variazione percentuale della revisione del gettito risulta essere superiore rispetto alla variazione percentuale della revisione operata sulla crescita del Pil. In altre parole, una determinata variazione negativa del Pil implicherebbe una perdita di gettito più che proporzionale». Semplifichiamo: se cade il Pil, cadono redditi e consumi. Quindi scendono le entrate tributarie, che sono legate alla ricchezza annua degli italiani. Se poi per aggiustare i conti togli attraverso il prelievo fiscale ulteriore ricchezza, come fa la manovra Monti, tutti gli indicatori scendono ulteriormente. Secondo la Banca d'Italia l'effetto Monti sarebbe una caduta di mezzo punto del Pil, che potrebbe fare scendere le entrate fiscali assolute dell'1,7-1,8%, provocando un circolo vizioso che non finisce più. Secondo Confindustria la caduta del Pil sarebbe ancora più ampia, dell'1,6%, con possibile riduzione delle entrate quindi del 4-5%. È evidente quindi che più alzi le tasse, più provochi l'effetto opposto. Oltretutto alcune entrate - sempre che ci siano - non servono a nulla sotto il profilo del rapporto fra debito e pil. Se ne è accorto anche il governo, che sarà tecnico ma sembra sapere assai poco dei tecnicismi di finanza pubblica, e per questo motivo ha rivisto il prelievo sui capitali scudati: quella tassa retroattiva dell'1,5% sui beni rimpatriati, oltre ad essere costituzionalmente a rischio, aveva effetto nullo sui conti pubblici: secondo le nuove regole Eurostat non può essere conteggiata nessuna entrata una tantum. Con la nuova formula della imposta di bollo, potrà entrare nel conteggio il 4 per mille strutturale e non l'aliquota più alta messa una tantum. Ma è l'impianto della manovra a rischiare di creare più problemi di quelli che momentaneamente non abbia risolto. Secondo uno studio degli economisti de lavoce.info basato sui criteri matematici del Fmi, la portata recessiva della manovra Monti rischia di essere assai superiore a quella indicata dalla Banca d'Italia. Potrebbe ammontare di per sé a una recessione triennale di 2,7 punti di Pil visto che deve cumularsi alle due manovre già varate dal governo Berlusconi, che hanno un impatto pluriennale vicino ai 90 miliardi. L'Italia ha avuto un solo precedente di queste proporzioni rispetto al Pil: la manovra del 1992 da 90 mila miliardi di lire del governo Amato. Allora però gli effetti recessivi furono compensati dalla possibilità di svalutazione della moneta. Senza quella medicina l'effetto recessivo potrebbe addirittura raddoppiarsi, superando i 5 punti di Pil nel triennio. Se poi anche i paesi legati all'interscambio con l'Italia dovessero adottare in contemporanea (come pretende la Germania) manovre altrettanto dure e recessive, l'effetto indotto per l'Italia sarebbe una ulteriore caduta di Pil dell'ordine di 3 punti in tre anni, arrivando così a 8 punti percentuali da qui a fine 2014. Uno scenario teorico, soprattutto sulle proporzioni. Ma che indica con chiarezza come la previsione di pareggio di bilancio nel 2013 sia lontanissima, e rischia di essere accompagnata già nella prima parte del 2012 da una nuova correzione dell'ordine di quasi un punto di Pil. Una manovra bis dunque, che oggi è smentita in via ufficiale, ma che è sempre più concreta. Tanto più che il governo nelle sue previsioni non ha ipotizzato nessun andamento dello spread nel 2012, solo segnando che grazie all'ultimo trimestre la spesa per interessi cresce di 8,4 miliardi nel 2012, di 10,5 miliardi nel 2013 e di 11,3 miliardi nel 2014. Se lo spread oscillerà ancora fra 400 e 500 punti a gennaio e febbraio, tutti i conti sono da rifare. di Franco Bechis