Incontro con Bossi, basta insulti
Senatùr a cena da Berlusconi dopo cinque settimane di gelo tra il nodo frequenze tv, amministrative e il caso Cosentino
Per una volta discreto («È opportuno il silenzio»), cosa che accredita ancor di più la voce di un possibile vertice serale con il leader leghista Bossi. È il Cavaliere, il quale, in una pausa pomeridiana del processo Mills, parla dei suoi rapporti con il Senatur («Ottimi sul piano personale»), dei contatti «normali» con via Bellerio e di un faccia a faccia notturno su cui preferisce glissare: «Ci sono obiettive ragioni che impongono riserbo». Eppoi, prova a depistare Silvio, «chi l'ha detto che non c'è già stato», l'incontro?Nei giorni scorsi l'aveva annunciato ai quattro venti: «Vedrò Umberto». Col risultato di mettere in imbarazzo il numero uno del Carroccio (impegnato a rifarsi una verginità da oppositore) e di provocare la sua reazione scomposta: «Se incontro Silvio mi metto a ridere!». Ecco: onde evitare altre «reazioni rustiche» (copyright berlusconiano), il Cavaliere non si è esposto. Mistero. Indeterminatezza. Nebbia. Ma, alla fine, pare proprio che il vertice serale tra Silvio e Umberto ci sia stato. Trapela poca roba: gli argomenti del confronto, per esempio, tutti alquanto scontati. In primis, l'ipotesi di riallacciare il filo dell'alleanza in vista delle elezioni amministrative di primavera (questione prematura, ma importante), poi la storia delle frequenze della tv digitale e il voto sulla custodia cautelare di Nicola Consentino. Era da prima delle dimissioni del governo che i due non sedevano a un tavolo per parlare di politica. Cioè dal 12 novembre scorso. Quasi cinque settimane è durata l'astinenza da Senatur del Cavaliere, a parte una fugace occhiata in Aula, a Montecitorio, durante uno dei discorsi di Mario Monti al Parlamento. Ma c'è anche chi, tra i dirigenti azzurri, è pronto a giurare che Bossi e Berlusconi si siano visti già nei giorni scorsi, a pranzo. C'è stata anche una telefonata, aggiungono altre fonti. Che storia: fino a qualche mese fa la cosa non aveva tutta questa dignità di notizia, adesso anche il minimo cenno di intesa fa parlare. «Il problema non è Umberto», continua a ripete Silvio a chi gli chiede del destino del patto del Nord, «è ragionevole, ci parlo, lo convinco. Il problema sono gli altri leghisti». Uno su tutti, Roberto Maroni. Che non solo ha messo la sua firma sull'ordine del giorno che chiede la riassegnazione delle frequenze del digitale terrestre (già prese da Mediaset e Rai a costo zero) con una gara onerosa. Ieri l'ex ministro dell'Interno ha anche rivendicato la scelta: «È una misura equa, chi ha di più deve pagare». Attentato. Silvio considera questa iniziativa leghista (condotta in condominio con l'Italia dei valori) come un attentato al suo patrimonio, a Mediaset. E se ne sarebbe lamentato con Bossi, definendola una coltellata alle spalle arrivata da quelli che considerava degli amici. Lecito scegliere di non appoggiare il governo, ma questo furore da antiberlusconiani: perché? Silvio ha ribadito che il sostegno al governo Monti è stata una scelta obbligata, ma non definitiva. Che il quadro può mutare in fretta accelerando il ritorno alle urne: «Prepariamoci alle elezioni». Infine, il Cavaliere avrebbe perorato la causa di Cosentino. Dire no all'arresto del coordinatore campano del Pdl non frena il corso della giustizia, mentre è evidente - agli occhi dell'ex premier - un certo fumus persecutionis da parte della procura di Napoli che non intende interrogare il deputato azzurro, insistendo nel volerlo dietro alle sbarre. Difficile, tuttavia, che il Carroccio dia una mano: non lo fece a suo tempo con Papa e ora non c'è neanche più il vincolo di coalizione. Ma Silvio deve pensare anzitutto ai suoi processi. Ieri un altro lunedì trascorso in tribunale. Nelle pause dell'udienza, l'uomo di Arcore si è concesso qualche battuta politica. Sulla manvra: «Induce alla recessione» ed è «probabile» che ne serva un'altra. Sulle frequenze: «Nessuno è interessato a investire per ottenerle». Sul presidenzialismo («Magari, l'Italia è ingovernabile»), su don Verzè («Persona rara, grande imprenditore»), su Tremonti: «Si fa un gruppo autonomo? Tanti auguri!». di Salvatore Dama