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Monti in un mese soltanto ha perso 150 parlamentari

Passa la stangata alla Camera, ma raccoglie 495 sì contro i 556 di un mese fa. Monti spiega: "Non sono disperato". Ma è già in difficoltà

Andrea Tempestini
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Mario Monti esce ridimensionato, almeno nei numeri, dal voto di fiducia sulla manovra economica. Sono ben 61, infatti, i consensi alla Camera che il premier ha perso per strada rispetto alla fiducia al suo governo votata il 18 novembre scorso. Allora l'esecutivo aveva ottenuto 556 voti favorevoli. Mentre ieri si è fermato a 495, con 88 contrari e 4 astenuti. I numeri sono ulteriormente scesi nel voto finale sulla manovra: 402 sì, 75 no, 22 astenuti. Con 130 deputati assenti, di cui 70 del Pdl. E sono 154 in meno rispetto alla prima fiducia. La novità politica più importante è il voto contrario dell'Italia dei Valori, annunciato da giorni e confermato in Aula da Antonio Di Pietro. «Votiamo contro perché la manovra è iniqua», ha spiegato l'ex pm. Duramente attaccato poco dopo da Dario Franceschini. «Se avessimo fatto come voi, la manovra non sarebbe cambiata di una virgola. Entrando nel merito delle questioni, invece, abbiamo contribuito a migliorarla», afferma il capogruppo del Pd. Guarda il videocommento di Pietro Senaldi: Ecco chi sta voltando le spalle a Monti Ma le parole più dure Franceschini le riserva alla Lega e alla scelta di Bossi di stare all'opposizione. «Per dieci anni avete fatto i soldatini ubbidienti attaccati alle poltrone romane, per poi scoprire tutto d'un tratto i diritti dei più deboli», attacca il capogruppo del Pd, scatenando le urla dei deputati leghisti. Questo passaggio politico, dunque, vede allargarsi la divaricazione tra Pdl e Lega, da una parte, e Pd e Idv, dall'altra. La prima, almeno finché ci sarà il governo Monti, sarà più difficile da ricomporre. Tanto che ieri Roberto Maroni ha avvertito che, se non ci saranno cambiamenti, «la Lega andrà da sola alle Amministrative del prossimo aprile». Mentre la scelta dell'Idv sembra essere contingente al decreto “salva-Italia”. «Noi siamo all'opposizione della manovra, ma non del governo Monti, al quale abbiamo dato la fiducia il 18 novembre. Ora aspettiamo i prossimi provvedimenti e valuteremo nel merito», osserva il capogruppo, Massimo Donadi. Un altro dato politicamente rilevante è che, sulla fiducia, a Monti sono mancati anche 32 voti del Pdl: 26 deputati del partito berlusconiano, infatti, erano assenti, quattro si sono astenuti e due, Giorgio Stracquadanio e Alessandra Mussolini, hanno votato contro. Assenze da considerarsi politiche, visto che mancavano molti deputati critici nei confronti della manovra, da Guido Crosetto ad Antonio Martino. Ma il governo Monti ha lasciato per strada anche un'altra decina di voti, dall'Svp a qualche “responsabile”. La giornata, però, ha avuto anche due protagonisti a sorpresa: la leghista Emanuela Munerato e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda. La prima è intervenuta in Aula con la divisa da operaia. «Questo è l'abbigliamento che ho portato con dignità fino a due giorni prima di entrare in Parlamento. Forse lei, professor Monti, un operaio alla Bocconi non l'ha mai visto perché, se così fosse, forse non avrebbe toccato le pensioni», sostiene la deputata del Carroccio rivolgendosi al premier e al ministro Elsa Fornero, che la segue in leggero imbarazzo. Giarda, invece, si è reso protagonista di alcune defaillance, dimostrando di non essere padrone della materia. Prima sbaglia alcuni nomi di deputati e fa sospendere la seduta perché non sa che pesci pigliare di fronte ad alcuni ordini del giorno («acconsentiamo per pietas», interviene il leghista Marco Reguzzoni). Poi si prende un rimbrotto anche da Fini quando dice: «L'odg Mecacci & Company». «Dottor Giarda, sia più rispettoso nei confronti dei parlamentari: la formula giusta è Mecacci e altri», lo interrompe il presidente della Camera. Ma per tutto il giorno Giarda è sembrato in difficoltà. Tanto che, su un ordine del giorno della Lega sull'Imu (favorevole a detrazioni per le famiglie con portatori di handicap gravi), il governo va sotto. Monti, nel frattempo, ne approfitta per fare mini-vertici di maggioranza. Prima vede Casini, poi parla a lungo con Alfano nei corridoi adiacenti al Transatlantico. Infine scambia qualche opinione con Bersani. E verso le sette e un quarto prende la parola in Aula. «Non ho dubbi: l'Italia si salverà», afferma il presidente del consiglio. Il quale, prima ringrazia i partiti, «anche quelli che mi votano contro», poi ammette le timidezze sulle liberalizzazioni. «Dovevamo fare di più, ma le presenteremo più avanti», dice, lanciando un avvertimento alle categorie professionali: «Difendere i singoli settori è un'illusione che vi espone maggiormente alla concorrenza internazionale». E conferma la necessità della manovra, senza la quale «erano a rischio i patrimoni e i redditi degli italiani». Infine cita il titolo di Libero riferito alle parole di giovedì di Silvio Berlusconi. «Ho letto su alcuni giornali che io sarei disperato, ma non lo sono affatto!», sottolinea il premier. «Non volevo offenderlo», spiega poi il Cavaliere. E Monti, per chiudere l'episodio gli fa recapitare un biglietto in Aula. di Gianluca Roselli

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