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Il governo degli antipatici: ecco come potrà franare

E' già terminata la luna di miele di Monti con gli italiani e con i partiti: quando i tecnici dovranno decidere su lavoro e crescita saranno guai

Andrea Tempestini
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La disperazione, diceva Victor Hugo, è un contabile. Mario Monti, che pure di ragioneria se ne intende, dà però mostra di non pensarla così: «Ho letto», spiega il premier a Montecitorio, «un titolo di giornale che diceva “Monti è disperato”. L'ho letto e ho provato a farmi un esame di coscienza. Ma il fatto è che io non mi sento per niente disperato. Il contrario esatto». Euforico, dunque. Il che, a prima fiducia su un provvedimento appena incassata, ci starebbe. Eppure, basta un'analisi anche sommaria di quanto avvenuto ieri per rendersi conto che Monti qualche motivo per farsi venire, se non la disperazione, almeno un po' di magone l'avrebbe. Guarda il videocommento di Pietro Senaldi: Ecco chi sta voltando le spalle a Monti Prima di tutto perché lo spread governo-Parlamento ha fatto impallidire quello tra Btp e Bund. Il Professore ha perso 61 voti (495 contro 556) rispetto alla fiducia dell'insediamento. Una ventina - quelli dell'Idv - era preventivata: un numero tre volte superiore no. L'emorragia di voti, peraltro, è trasversale: sono mancati consensi targati Pdl, Fli, Popolo e territorio, Udc, Misto. Certo, c'è da distinguere caso per caso tra astenuti, assenti e così via. Però sessantuno voti in meno restano un'enormità. Che è la spia di un rapporto coi partiti che pare andare deteriorandosi con grande rapidità. Non a caso, ieri il governo ha provato per la prima volta l'ebbrezza di andare sotto: un odg della Lega per escludere dal pagamento dell'Imu chi abbia un disabile in casa è stato votato alla quasi unanimità dall'Aula contro il parere del governo. Un modo, nemmeno troppo velato, per dire al Professore che la pazienza è al lumicino: per questa volta i partiti si sono accontentati di un avviso tutto sommato gratis (l'odg ha cogenza pressoché nulla), ma dalla prossima il prezzo potrebbe salire, e di parecchio. Nella fine (ammesso ci sia mai stato un inizio) della corrispondenza di amorosi sensi con la propria maggioranza parlamentare, di certo l'atteggiamento del governo gioca un ruolo almeno pari a quello del suo operato. Ai partiti non va giù la spocchia professorale dei tecnici che, non paghi di consegnare loro provvedimenti su cui oltre che spingere il bottone c'è poco da fare, li trattano pure a pesci in faccia. Per dire, ieri al momento della proclamazione del risultato della votazione sulla fiducia i banchi del governo erano vuoti (comparirà un sottosegretario appena in tempo per salvare le apparenze). In più rilevante fibrillazione sono i due partiti maggiori dell'inedita coalizione: il Pd è attraversato da potentissimi mal di pancia per sedare i quali Pier Luigi Bersani inizia ad essere costretto ad evocare il voto, mentre ad esacerbare ulteriormente gli animi del Pdl hanno provveduto le punzecchiature del premier a Silvio Berlusconi (che della frase su «Monti disperato» è il padre). Altro guaio per il Professore è che gli scricchiolii iniziano a sentirsi anche fuori dal Palazzo. Nonostante il Guardasigilli Paola Severino informi la popolazione che «la gente, incontrandomi per strada, mi dice: ”Andate avanti“», i sondaggi raccontano una realtà diversa. «La fiducia nel premier», afferma il guru Renato Mannheimer, «è attorno al 50% e ha subito una rilevante diminuzione, di dieci punti percentuali rispetto a prima dei provvedimenti contro la crisi economica». La fiducia in Monti, insomma, non ha nemmeno aspettato la pubblicazione della manovra per iniziare a calare: quando il gioco si farà duro sul serio (tra due settimane si apriranno le partite della riforma del mercato del lavoro e dei provvedimenti per la crescita), le cose non potranno che peggiorare. E, una volta che la luna di miele è finita, il divorzio arriva in un lampo. di Marco Gorra

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