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Santoro Servizio Pubblico cala, Michele se la prende con auditel, stampa, Beppe Grillo e Pd

Il teletribuno scrive al Fatto e si sfoga: "Il sistema è un ferro vecchio viziato da Rai e Mediaset. Hanno tutti paura, io no"

Giulio Bucchi
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Auditel un sistema ridotto a "ferro vecchio da rottamare", il mercato è viziato da Mediaset e Rai, i giornali cattivi pensano solo allo share. Michele Santoro scrive al Fatto Quotidiano e più che un articolo è una lunga autoassoluzione di fronte agli ascolti in calo di Servizio Pubblico (che stasera vedrà tra gli ospiti il vicedirettore di Libero Franco Bechis). Ecco, gli ascolti. L'Auditel è uno strumento inadeguato per una "multipiattaforma" (tv locali, Sky Tg24 sul satellite, web) come quella di Servizio pubblico. "Per tre settimane su sei - incalza Michele - il venerdì mattina, il meccanismo che dovrebbe fondarsi su rilevazioni contenute in registratori automatici si è inceppato". Per questo Santoro ha rinunciato ad occupare "il mio posto al sole" con "il mio regolare stipendio". Un rivoluzionario, insomma, che ha preferito "lasciare ad altri uno spazio che avrei occupato con un senso di sconfitta". Tutto questo per "confermare il mio rifiuto di adeguarmi alla televisione così com'è". "Far sopravvivere un programma senza avere né un editore alle spalle né un canale consolidato per distribuire il prodotto", scrive Santoro sul Fatto, è la sfida estrema al duopolio Rai-Mediaset. Celentano, Luttazzi, i Guzzanti, lo stesso Beppe Grillo non hanno avuto coraggio Le colpe degli altri - Tutto da solo, perché sì "in centomila hanno risposto versando 10 euro", ma "quelli che avrebbero potuto dare veramente una spinta al progetto non hanno voluto metterci la faccia per l'assenza di un punto di riferimento editoriale tradizionale". Il teletribuno fa i nomi: "Celentano, Luttazzi, i Guzzanti, lo stesso Beppe Grillo". C'è poi il capitolo Partito democratico, che non ha voluto scommettere su un movimento dal basso e non ha "voluto farsi tramite di una critica alla Rai che sfuggiva al suo controllo". Dunque il calo di ascolti della trasmissione non è colpa del conduttore, o degli ospiti, o degli argomenti o di un format usurato, ma della stampa, "che ha igorato l'enorme novità" dell'esperimento, trattando - che strano - il programma come fosse "della Rai, di Mediaset o di La7". "Come se chiedessimo a Il Fatto di battere Repubblica nelle vendite durante le prime settimane di vita ed essendo distribuito nella metà delle edicole; o a Fiorello di fare il 50 per cento su Telesanmarino, avendo a disposizione i nostri dieci euro per centomila (quarantamila euro a puntata) per ingaggiare Benigni o Jovanotti". Gufi e complotti - Santoro non ci sta e snocciola i successi, come "aver superato di tre punti il daytime di La7" (ma l'Auditel non era un ferro vecchio da rottamare?) o aver raccolto pubblicità in un "mercato viziato da posizioni dominanti". "Male che vada e gufi permettendo - scrive ancora il giornalista - per lo meno altre otto puntate sono garantite". Insomma, nonostante gufi e complotti, Santoro è contento: "Potevo restar fermo alla Rai, potevo restar fermo a La 7 e invece sono qui felice di correre un'altra volta. Perché televisivi si diventa, ma liberi si nasce. E io modestamente lo nacqui".

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