Facci e la prima alla Scala: "Mozart antibamboccione"
Il compositore-genio è stato primo freelance della musica: a trent'anni aveva già composto il Don Giovanni
Nel rispolverare la biografia di Mozart (nome completo: Johannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart, detto Amadeus) vien voglia di ironizzare sull'articoletto che il Corriere della Sera ha dedicato alla «Primina» di domenica scorsa: quella riservata ai giovani, anzi ai «ragazzi» come ha scritto la purtroppo inossidabile Giuseppina Manin. In tempi di retorica dei bamboccioni (nonché di futuro regolarmente «rubato ai nostri figli») si descrivevano gli under-trenta che presenziavano alla Scala come degli imbelli di 13 anni al massimo, e comunque «giovani» o meglio «i giovani». Del resto si titolava: «Don Giovanni seduce i giovani», «Gli Under 30 conquistati anche dalla regia», «i ragazzi accorsi numerosi per questa primina inventata per loro dal sovrintendente». Mancavano solo i giocattoli e il karaoke. Lirico, magari: esiste anche quello. I pre-trentenni oggigiorno sarebbero «un nuovo pubblico», e il bello è che è anche vero, lo sono, eppure è difficile non sorridere nell'apprendere della loro «curiosità per una forma di spettacolo insolita». Perché vedete, è vero, spesso gli under 30 sono ancora e davvero dei ragazzini, e tralasciamo tutto il discorso sul benessere e sull'allungamento della vita media; sta di fatto che Mozart, a trent'anni, non solo aveva appena composto quel Don Giovanni che loro hanno potuto ammirare, ma il compositore era pure a fine carriera - lunghissima - e sarebbe schiattato entro cinque anni. Conosciamo le obiezioni: Mozart fu schiavizzato dal padre e non conobbe una vera infanzia e una vera adolescenza se non da fenomeno musical-circense, e poi un genio è un genio, la vita adulta cominciava prima, insomma le solite cose. Sarà, eppure la Storia ridonda di personalità intraprendenti che furono se stesse da subito. Wagner e rossini Restando ai musicisti: i più, appena possibile, si districarono dalla bambagia e si buttarono a pesce addosso alla vita. Rossini a 21 anni era già celebratissimo, e non era il solo. È vero, sì, la maggioranza dei compositori ha dato il meglio di sé nella seconda metà della propria vita, se non addirittura negli ultimissimi anni: quando, cioè, il soffio dell'imperscrutabile suggerisce commiati e testamenti che hanno fatto la storia della musica. Beethoven a trent'anni non era Beethoven (o meglio: non lo sarebbe oggi) e Wagner a quell'età non aveva neppure composto il Tristano; senza contare i casi di Cajkovskij, Strauss, Mahler, tanti altri. Si rimarca sempre che i medici non riuscirono a salvare Mozart, è ritenuto stupefacente che sia morto a 36 anni non compiuti: ma è anche vero che Giovanni Battista Pergolesi, superbo compositore di musica sacra e autore dell'immortale Stabat Mater, morì a 26 anni: ma aveva fatto in tempo a diventare Pergolesi. Carl Maria von Weber, uno dei più influenti musicisti tedeschi a cavallo tra Sette e Ottocento, morì a 39 anni. Franz Schubert, magnifico e prolifico compositore austriaco, morì a 31 anni. Fryderyk Chopin, l'eccelso pianista polacco, a 39. Georges Bizet a 36. Significa qualcosa? Non sappiamo, ma nel leggere l'articolo sugli under 30 trattati come ospiti di una scuola materna (a torto o a ragione, non sappiamo) tornavano in mente queste cose, tutto qui. Tornava in mente Mozart, la sua vita che in quel periodo - 29 ottobre 1787, esordio praghese del Don Giovanni - era diversa da come molti la immaginano oggi, forse. Si era trasferito a Vienna nel 1781, dove avrebbe cambiato undici appartamenti in un decennio, alternando domicili di rappresentanza a discrete stamberghe. Gli amori Oggi gli itinerari turistici ti infilano soltanto nella Figaro-haus al numero 5 della Domgasse, una casa grande e luminosa in cui Wolfgang trascorse gli anni migliori. Mentre la casa sulla Rahuensteingasse 8, dove morì in povertà nel 1791, non esiste più: c'è un grande magazzino. Per farsi perdonare hanno piazzato una targa striminzita e un «Mozart shop» con cioccolatini e magliette. A Vienna, comunque, il compositore si era innamorato di Aloysia Weber (figlia del compositore Carlo Maria von Weber) ma aveva finito per sposarne la meno pretenziosa e più bruttina sorella Constanze. Lui aveva 26 anni e si sposarono il 4 agosto 1782 contro il parere del padre Leopold, che a una prima occhiata giudicò la ragazza come una mezza balorda e probabilmente ci pigliò pure. Ma quello era stato un buon periodo: il suo Ratto del serraglio era piaciuto all'Imperatore Giuseppe II e così pure al pubblico viennese, anche perché era cantato in tedesco e non nel solito italiano. Mozart in tal senso rappresentò una sintesi formidabile tra le culture della Germania e del Belpaese, assimilando e rifondendo stili e linguaggi musicali che parevano inconciliabili: da Nord prese la cultura strumentale, l'austerità del contrappunto e certa drammatica impetuosità, da Sud la cantabilità virtuosa, l'estro e la teatralità del modo di fare. Benché marginale politicamente, l'Italia godeva di una supremazia musicale ancora indiscussa sia per numero e diffusione dei teatri sia perché l'italiano era la lingua internazionale della musica. Nei paesi di lingua tedesca invece l'arte strumentale si concentrava soprattutto attorno alle cappelle ecclesiastiche e alle corti dei principati, e al musicista che operasse da libero professionista non erano ancora abituati. È quello che Mozart provò a fare a Vienna, sorta di primo freelance della storia della musica: cercò di amministrare da solo il proprio talento. Un ruolo che ebbe un suo prezzo, altro che bamboccioni. Dopo un periodo in cui gli erano piovute offerte da ogni parte, infatti, era ricominciata la sfortuna. Compose a ciclo continuo, ma l'inizio del declino coincise col trionfo de Le nozze di Figaro: nella Parigi pre-rivoluzionaria aveva già avuto esiti travolgenti Le marriage de Figaro (storia di una coppia di servi che ha la meglio su un padrone che vorrebbe imporre lo «ius primae noctis») e Mozart riuscì a musicarla anche a Vienna e a farla tradurre in italiano dal librettista Lorenzo Da Ponte, lo stesso del Don Giovanni e del Così fan tutte: l'imperatore aveva proibito l'opera e il compositore dovette eliminare tutte le scene con riferimenti politici, ma fu comunque un clamoroso successo soprattutto a Praga. Gli ultimi anni A Vienna, invece, l'imperatore emanò addirittura un decreto per bloccare le repliche del Figaro tra Mozart e l'aristocrazia di corte, in piena fase pre-rivoluzionaria, si ruppe qualcosa. Di fatto le ordinazioni di opere vennero a calare. È una fase di declino: pochi concerti, qualche lezione privata e la sostanziale indifferenza degli impresari. Ecco: un'opera meravigliosa come il Don Giovanni giunge in un momento come questo, e non ebbe i risultati sperati. A essere precisi, fu un fiasco a Praga e soprattutto a Vienna. La morte dell'imperatore Giuseppe II, che a suo modo non aveva lesinato simpatie all'irriverente Amadeus, non migliorò le cose. Tantomeno la morte di Raimund Leopold, il figliolino. A Mozart moriranno quattro figli e ne sopravviveranno soltanto due. Il compositore nell'ultima fase della sua vita non riuscì a trovare allievi neppure con degli annunci sui giornali. Dovette impegnare l'argenteria e presto avrebbe venduto anche il suo cavallo: un'inclinazione alla depressione ci stava tutta. Oltretutto beveva come un otre e Costanze era ancora più incapace di lui di gestire il denaro. Il viso e le mani gonfie sono state accostate al decorso di una malattia renale, ma l'unica cosa certa è che Mozart continuava indefesso a comporre: va detto che dimostrò una forza di volontà straordinaria a dispetto di certa iconografia da farfallone. Mozart non era il Don Giovanni che rappresentò, ma avrebbe voluto esserlo. I più, questa sera, penseranno segretamente la stessa cosa. di Filippo Facci