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Ecco che cosa diceva Stasi dopo la prima assoluzione

Riporponiamo l'intervista concessa a Cristiana Lodi il giorno successivo all'assoluzione in primo grado

Andrea Tempestini
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Vi riproponiamo l'intervista di Cristiana Lodi ad Alberto Stasi pubblicata su Libero di venerdì 18 dicembre 2009, il giorno successivo alla sua assoluzione in primo grado. Alberto scoppia in lacrime alla lettura del verdetto di assoluzione che arriva alle 17 del pomeriggio. Riesce a balbettare poche parole. Ha le mani e il corpo che tremano. «Sono contento che un altro giudice, il secondo, abbia deciso che io non c'entro con la morte di Chiara. Questo giudice si è allineato a quello che ho sempre detto fin dal primo giorno, è cioè che non ho mai commesso il reato per il quale sono stato perseguito per oltre due anni. Ringrazio il giudice Stefano Vitelli per lo scrupolo e l'atten zione dimostrati nello studio degli atti e delle perizie. È stato il modo per provare che io ho sempre raccontato la verità dei fatti di cui sono stato protagonista». Una vittoria? «Questa non è la vittoria di nessuno, certo per me significa allontanare un incubo. L'incubo di una condanna per qualcosa di orribile e che non ho fatto, anche se so che potrebbe non essere finita». Assolto. Se non è vittoria questa... «Non lo è perché Chiara non c'è più e non so nemmeno se un giorno lei potrà avere giustizia, se i suoi genitori e il fratello potranno sapere chi è il colpevole. Qui non ci sono né vinti, né vincitori. C'è Chiara uccisa. E ci sono io, innocente ». Davvero crede non sia finita? «Non potrei pensare altrimenti, dato che in una delle ultime udienze il pubblico ministero aveva ufficialmente comunicato al giudice che, in caso di assoluzione, avrebbe impugnato. Di sicuro. Non so cosa farà adesso». Ha paura di questo? «Sono sempre stato convinto che la verità avrebbe trionfato. L'ho pensato anche quando mi hanno portato in prigione due anni fa. Ero terrorizzato ma al tempo stesso mi sentivo tranquillo. Ripetevo a me stesso: non ho fatto niente, dunque da qui esco. Infatti sono uscito dopo tre giorni, e ne ero sicuro di uscire. Questo sentimento mi ha accompagnato per tutto il processo. Anche se le notti passate senza dormire e i giorni senza mangiare sono stati tanti». Cosa la spaventava più di tutto? «I mesi durante i quali sono state elaborate le perizie ordinate dal giudice sono stati i più difficili. Mi chiedevo: leggeranno mai tutte quelle carte i periti? Lo faranno attentamente? Avranno gli strumenti adatti per rispondere ai quesiti posti dal giudice. Non finirò di ringraziarli per la grande professionalità e serietà dimostrate». Lei ha studiato il processo. «A mano a mano che leggevo i risultati delle evidenze scientifiche, mi convincevo che la verità alla fine di tutto non poteva non emergere. E questo mi ha dato la forza». Non si è mai mostrato in pubblico. Perché? «Stiamo parlando di una tragedia. Chiara è morta, non avrebbe avuto alcun senso andare in televisione a parlare di lei. E tantomeno di me, che non ero creduto da nessuno». Non è stato creduto fin dall'inizio, perché secondo lei? «È una cosa che non ho mai capito. Io ho cercato subito di collaborare con gli inquirenti. Ho raccontato tutto quello che ho visto e ho fatto la mattina in cui sono andato da Chiara, lei non rispondeva al telefono. Sono andato là e l'ho trovata come ho sempre spiegato. Ero il primo a voler capire, credevo di poter essere utile agli inquirenti. Loro invece hanno preso di mira me. Sono diventato il loro obiettivo, non ci volevo credere». Un'amica di Chiara, che è anche la vicina della famiglia Poggi, ha raccontato ai giornali e alla televisione che lei in tutto questo tempo non ha mai parlato di Chiara. E ha anche aggiunto: «Io non perdonerò mai Alberto». «Vero, questa amica sostiene che io non mi sono mai ricordato di Chiara e tantomeno avrei mai avuto un pensiero per lei. Io non ho mai parlato con la stampa né con le televisioni in assoluto e non soltanto di Chiara. Ho sempre mantenuto un atteggiamento di massimo riserbo e rispetto, a differenza di altre persone coinvolte in questa storia che invece hanno cercato più volte di mostrarsi e di apparire di fronte alla tragedia che si è consumata. Credo di avere il diritto di poter parlare di Chiara con chi desidero e anche di farlo riservatamente, di persona con coloro che mi sono più cari e vicini». Forse questa amica non sa che lei tutte le settimane va a trovare Chiara al cimitero. «Anche questi sono fatti miei. Scusi». La telefonata al 118. La Procura le ha contestato il distacco, la freddezza, in quella telefonata. «Ero semplicemente terrorizzato e sconvolto per quello che avevo visto. Credo che non avrebbe fatto piacere a nessuno vedere quel che ho visto. Perfino i due carabinieri che sono entrati dopo di me, quando sono usciti erano sconvolti. Nemmeno loro si aspettavano di trovare quel che hanno trovato. E sono entrati dopo di me, insieme. Io ero solo e mai avrei immaginato una cosa del genere». Si è fatto un'idea di chi è può essere stato? «I miei difensori, già nella prima arringa, hanno spiegato che forse in questa indagine potevano esserci degli spunti sui quali poter compiere alcuni approfondimenti, che però non sono stati fatti. A questo punto non si può più affermare niente». intervista di Cristiana Lodi

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