Bossi: ormai lo Stato ha perso E' l'ora della secessione
Riunito il parlamento padano. Calderoli vuole abrogare le novità previdenziali. Bossi rilancia sulla secessione
La stangata di Mario Monti sulle pensioni sarà durissima. I sindacati lo hanno spiegato, unanimi, senza mezzi termini dopo il confronto con l'esecutivo. Così la Lega Nord si schiera in prima linea in difesa della previdenza. Lo ha detto chiaro e tondo l'ex ministro Roberto Calderoli dal palco della Fiera di Vicenza, dove si riuniva il parlamento padano. Tra gli applausi della folta platea del popolo del Carroccio, Calderoli ha rilanciato: "Faremo un referendum abrogativo in materia previdenziali, e siamo sicuri che ci sarà la fila ai nostri banchetti". La Lega è in guerra aperta contro il governo tecnico. Lo dimostra anche il rinnovato vigore con cui Umberto Bossi è tornato a chiedere la secessione. Ecco cosa ha detto: "La Padania vincerà. Lo Stato italiano ha perso la partita. La guerra economica ha visto la sconfitta dell'Italia. Si apre una finestra importante per la storia. Noi dobbiamo essere pronti perchè dopo le guerre si riscrivono i trattati. Dobbiamo essere pronti a lanciarci nelle finestre che dopo la crisi la storia aprirà ". Segue l'articolo di Francesco Specchia. «Rieccola...». Come lo spettro ubiquo di Fanfani dipinto da Montanelli, con capricciosa puntualità, ecco la Padania Felix riemergere oggi nel Parlamento padano (o meglio, in una sala affittata in Fiera a Vicenza, dato che la location originale dell'assise era occupata da una cena aziendale... Solo che ora si tratta d'una Padania diversa. Una Padania sì indipendente ma allocata «all'interno di un'Unione Europea delle Regioni» sostiene un inconsuetamente tosto Roberto Maroni, anticipando l'assise vicentina: «Dobbiamo cambiare il sistema europeo, dai 27 Stati bisogna passare all'Europa delle Regioni. Sennò non saranno più la Merkel e Sarkozy a comandare ma la Banca Centrale Europea». Maroni ormai scandisce a scenari immaginifici come Peròn prima dei colonnelli. Oggi, per dire, evocherà il «debito diviso» tra la Padania che pagherà le sue quote e le mani libere con gli alleati; e l'orgoglio padano che ha «trainato per 150 anni il carrozzone»; e la la macroregione padana sul modello di «un grandissimo padano che abbiamo messo nel Pantheon», quel Gianfranco Miglio citato da Bossi come una scorreggia nello spazio e i cui scritti, però, pochi padani hanno letto. RITI E PAJATA Sicchè, fermi restando i soliti gazebo coi referendum pro-secessione, le liturgie da pratone e i puri riti celtici macchiati negli anni di governo dalle cene da Fortunato al Pantheon a base d'abbacchio e pajata, oggi siamo al ritocco dell'idea suprema. La Padania indipendente nell'Europa delle regioni, una specie di Csu tedesca, solo molto più incasinata. Questo ritorno tenacemente identitario del Carroccio di lotta scorre su una sceneggiatura già scritta farcita di ruoli goldoniani. Vi rientrano i governatori del Piemonte e del Veneto - Cota e Zaia, un tempo moderatissimi - che prima ritengono uno “sgarbo istituzionale” la loro convocazione da parte di Monti (per illustrare misure attese da tutto il mondo) mentre s'apre il Parlamento padano; e dopo si ritrovano lo stesso Monti che, alla richiesta di un abboccamento informale, li lascia alla porta come due colf rumene senza permesso di soggiorno. Rientra nel plot anche Bobo Maroni in camicia verde che da un lato smentisce ogni alleanza col Pdl anche a livello locale (nonostante in Veneto berlusconiani e Lega abbiano tutta l'intenzione di non romperla, quell'alleanza...); ma vi rientra pure lo stesso Maroni, che, in un silenzio da politica reticolare alla Talleyrand, si rimette la grisaglia istituzionale e sonda gl'imprenditori inferociti, stringe mani e accordi con rappresentati di categorie d'ogni colore politico. Certo, quando Bossi dice: «Occorre ragionare su una possibile indipendenza condivisa», e La Padania titola: «Mani libere per l'indipendenza. Abbiamo dimostrato prudenza, saggezza, equilibrio (è scritto proprio così, ndr) ora riportiamo il popolo», c'è da chiedersi se “il popolo” sia davvero stato avvertito. Perché pochi della base, per esempio, erano al corrente della materializzazione in via Bellerio, domattina, del governatore Formigoni. Il Celeste - chez Calderoli e relativa incazzatura di Maroni - proprio dalla Lega farebbe ripartire la corsa alla leadership del suo partito. E, data l'impossibilità di guidare la Lombardia senza l'appoggio di Cl, Bossi punta sul Celeste a Roma per tentare la scalata al Pirellone. Il sogno, appunto dell'egemonia del Nord: Piemonte, Veneto e Lombardia. Se non è stata Padania Felix, sarà almeno Padania di fatto. Certo Formigoni ora può rischiare l'onda d'urto del caso San Raffaele. Ma secondo Marco Alfieri della Stampa «una corsa alla premiership del governatore lombardo ostacolerebbe l'ascesa di Alfano in ticket con Maroni; e indebolirebbe il disegno maroniano di prendersi il partito, isolando i pretoriani del cerchio...». Quindi i dissensi maroniani/cerchiomagicisti crepitano ancora sotto l'opposizione. CELESTE NOSTALGIA La strategia del ragno di Formigoni è sanamente democristiana. A quel punto, eletto a ambasciatore delle istanze leghiste al governo, il Celeste potrebbe rispolverare i leggendari decreti attuativi sul federalismo fiscale, ovvero quei valori leghisti non negoziabili persisi un po' per strada tra una crisi e l'altra. Marco Reguzzoni, con la sua faccia di pietra, ritiene l'asse Bossi-Formigoni una boutade giornalistica; quindi significa che è tutto vero. In tutto ciò, tra gli amministratori locali e le piccole e medie imprese - leghisti come non mai - una Lega che aventineggia nel suo Parlamento fantasy non è poi vista così di buon occhio. Infine c'è il vero ruolo di Calderoli che, in questa fase magmatica si ritaglia sempre più il ruolo di mediatore d'anime. Di qualunque anima la Lega abbia bisogno... di Francesco Specchia