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Bidoni Prodi, Ciampi, D'Alema & Co: che profeti Spacciavano l'euro per oro e tifavano Grecia

Ciampi prevedeva più garanzie per il debito, l'ex premier bolognese auspicava l'immediato ingresso della Grecia

Lucia Esposito
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Lui si è sempre sentito un padre fondatore dell'euro. Tanto che Romano Prodi nel lontano 28 novembre 1996 ammise: «Ho legato il mio destino all'euro». Naturale che in tutti questi anni abbia magnificato i vantaggi della moneta unica. Per l'Italia, prima di tutto. «Siamo entrati nell'euro», disse il premier dell'Ulivo il 2 maggio 1998, «e già se ne vedono gli effetti: è calata l'inflazione, si sono abbassati i tassi di interesse, è cominciata la ripresa dell'occupazione». Ma non solo per l'Italia. Perché Prodi si innamorò subito dell'allargamento della moneta unica. E fece il matto per fare entrare anche la Grecia: «Sarei molto contento di vedere anche la Grecia nell'euro», auspicò da neo presidente della commissione Ue nel 1999. E pochi mesi dopo: «Sono felice che la Grecia abbia chiesto ufficialmente di entrare». Fu proprio Prodi a certificare i conti pubblici truccati di Atene che da un paio di anni stanno rischiando di fare saltare l'euro. Il professore si profuse in lodi per quel governo di falsari. Tanto da applaudire così che nel giugno 2000 ad Atene: «Complimenti alla Grecia per i duri sforzi fatti per la stabilità. E oggi Atene vanta un tasso di crescita economica ben al di sopra della media europea, dopo avere fatto passi da gigante per ridurre inflazione e il deficit pubblico». Quelle bandiere sulle medicine che la moneta unica avrebbe portato all'economia italiana, non furono sventolate solo da Prodi. Anche Carlo Azeglio Ciampi era un euro-entusiasta, e il 7 febbraio 2000 accarezzò così la pancia degli imprenditori italiani incontrati al Quirinale: «Ricordate quanto si pagava più di interessi rispetto ai concorrenti europei? Prima dell'euro lo Stato italiano era considerato un debitore meno affidabile di altri stati. Ora siamo credibili quanto gli altri». Qualche tempo dopo l'ex direttore del Fondo monetario internazionale, Vito Tanzi, sostenne: «I vantaggi dell'euro sono enormi, molto più degli svantaggi. In Italia meno inflazione, meno tassi di interesse, meno debito pubblico senza penalizzare la crescita». Anche Massimo D'Alema, che pure non aveva fatto della moneta unica una religione, arrivato a palazzo Chigi ne magnificò le doti: «Dobbiamo sfruttare i grandi vantaggi dell'euro: stabilità, spinta verso lo sviluppo economico, bassa inflazione e crescita». Ancora anni dopo - eravamo nel 2004 - l'ipnosi della moneta unica sulla sinistra italiana era ben testimoniata da questa dichiarazione di Pier Luigi Bersani: «L'euro ci ha aiutato, eccome. Ci ha regalato tassi di interesse bassi e una stabilità monetaria che mai abbiamo avuto». Avevano torto del tutto? No, non avevano torto. L'euro avrebbe dovuto portare in Italia minore inflazione, tassi di interesse più bassi, minore debito pubblico, stabilità finanziaria, maggiore crescita. Così dicevano gli esperti. E così per qualche tempo è stato. Ma oggi non è più. Non una delle ragioni macroeconomiche per cui fu adottato l'euro oggi è ancora testimoniata da una sola cifra di finanza pubblica. L'Italia fu ammessa nella prima fase dell'Unione monetaria europea fra molti contrasti il 25 marzo 1998. A quella data il Pil era cresciuto su base annua dell'1,9%. Al novembre 2011 la crescita annua è minore: 0,7%, con una possibile recessione in vista per il 2012. Oggi l'area euro impedisce la crescita italiana, che è decisamente inferiore a quella del decennio precedente alla moneta unica. Nel marzo 1998 l'inflazione era del 2%. Oggi è assai più alta: 3,3% appena rilevata a novembre 2011. E anche la promessa sui tassi di interesse si è rivelata un bluff. Quelli ufficiali sono più bassi oggi di allora. Quelli reali sono invece più alti. Per un Bot a 12 mesi lo Stato italiano nel marzo 1998 pagava 4,71% di interessi. Nel novembre 2011 lo stesso Bot a 12 mesi ha un rendimento del 6,087%. Questo significa più deficit pubblico e più debito pubblico. Ed entrambi i dati sono peggiori oggi che nel 1998. Se tutte le ragioni per cui l'Italia entrò nell'euro oggi sono venute meno, non si capisce perché dovrebbe essere tabù dibattere sul possibile percorso inverso: posto che i dati certificano in questo momento solo svantaggi legati alla moneta unica, quale vantaggio esiste ancora? Ce ne potrebbero essere tornando alla lira? Più svantaggi o più vantaggi? In un paese normale questo dibattito sarebbe all'ordine del giorno. In Italia è invece vietato. di Franco Bechis

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