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Ciappazzi, Geronzi e Arpe condannati per CallistoTanzi

Il Tribunale di Parma dichiara gli ex vertici di Capitalia colpevoli di bancarotta fraudolenta. Pene fino a cinque anni

Lucia Esposito
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Mano pesante dei giudici sugli dei scesi dall'Olimpo. Ieri  il Tribunale di Parma ha condannato Cesare Geronzi a 5 anni per la vendita delle acque minerali Ciappazzi a Calisto Tanzi. Assieme a Geronzi, all'epoca dei fatti presidente di Capitalia, è stato condannato a 3 anni e 7 mesi  Matteo Arpe, già ad dell'istituto romano poi ceduto ad Unicredit. I giudici hanno così accolto la tesi dell'accusa: Geronzi, condannato per  bancarotta fraudolenta e usura aggravata, avrebbe fatto pressioni perché nel gennaio 2002 Calisto Tanzi, alla guida del gruppo Parmalat, acquistasse l'azienda di acque minerali dal gruppo Ciarrapico, che era fortemente indebitato con la banca romana.  La condanna per bancarotta fraudolenta di Matteo Arpe, invece, è legata al prestito ponte da 50 milioni di euro concesso da Capitalia al gruppo agroalimentare. Il collegio, in questo caso, è andato al di là delle stesse richieste della procura  che aveva suggerito per Arpe una condanna a 2 anni e 6 mesi mentre la richiesta per Geronzi era di 7 anni.  Il gruppo Unicredit,  che ha incorporato la banca romana, è stato  condannato in solido con gli imputati a risarcire le parti civili che si erano costituite nel procedimento: l'ammontare del risarcimento sarà stabilito in sede civile. In sostanza, secondo i magistrati emiliani, Geronzi avrebbe obbligato Tanzi ad acquisire l'acqua Ciappazzi, controllata da Ciarrapico, con un doppio intento: da una parte alleggerire la posizione di Capitalia verso Ciarrapico, in cattive acque; dall'altra far arrivare per questa via  alla Hit, la controllata del turismo di Tanzi  un finanziamento di 50 milioni per impedire un collasso che si sarebbe trasmesso all'intera galassia Parmalat. Un disegno consapevole, come provano, secondo i magistrati, diverse anomalie, tra cui  la velocità delle delibere del prestito (concesso in tre giorni). Un disegno alla portata, sempre  secondo i pm, di Geronzi cui  «bastava un colloquio informale a latere di un cda per dare l'input alle strutture bancarie di giustificare in qualche modo il sostegno finanziario a Tanzi». Si chiude così un altro capitolo della vicenda Parmalat, con un'appendice destinata a pesare, in particolare, sui progetti di Matteo Arpe. Il presidente del collegio giudicante, Pasquale Pantalone, ha stabilito che gli imputati non potranno ricoprire incarichi dirigenziali o essere titolari di un'attività di impresa per i prossimi 10 anni oltre all'interdizione dai pubblici uffici per i prossimi cinque. Una doccia fredda per il fondatore di Sator, primo azionista di Banca Profilo, che solo poche settimane fa è sceso in campo per sostenere la lista Messori in Bpm, proponendosi come punto di riferimento per il new look di piazza Meda. Ora l'ex enfant prodige della finanza italiana, braccio operativo della scalata a Telecom Italia di Roberto Colaninno ai tempi della sua militanza in Mediobanca, dovrà rivedere i tempi e i modi della sua “rivincita”, dopo l'estromissione (ben pagata) da Capitalia a opera proprio di Geronzi. Ancor più impressionante la  caduta dell'ex eminenza grigia del sistema bancario italiano. Solo dodici mesi fa la fantasia della finanza progressista attribuì all'allora presidente delle Generali un ruolo chiave nella caduta di Alessandro Profumo, folgorato da ben altri errori a danno degli azionisti, come emerge in queste settimane. Da allora Geronzi, già numero uno di Banca di Roma, Capitalia e Mediobanca, ha subìto una serie di rovesci: sfidato nel cda di Generali da Diego Della Valle,  costretto alle dimissioni dai vertici della compagnia, dopo il braccio di ferro con le tesi dell'ad Giovanni Perissinotto, allontanato dalla cabina di regìa di Rcs, uno dei punti di forza del suo potere. In questi mesi Geronzi, più che di reagire agli attacchi in arrivo dalla sfera del business, ha dovuto però preoccuparsi di questioni giudiziarie.  Dopo l'assoluzione in appello per il crac del Bagaglino, Geronzi è stato condannato in primo grado a Roma nel luglio scorso a 4 anni di reclusione per il default della Cirio del 2003.  Il 10 ottobre, infine, il gip di Roma ha ha rinviato a giudizio, assieme a Sergio Cragnotti, ex ad di Cirio per estorsione ai danni di Calisto Tanzi e bancarotta fraudolenta, in merito alla vendita di Eurolat da Cirio a Parmalat, processo che prenderà il via a Roma il prossimo  25 gennaio.  Ma allora il terribile 2011, l'anno della caduta degli dei in banca, sarà alle spalle.   di Ugo Bertone

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