La Casta rinvia i suoi privilegi Vitalizi a sessant'anni
Fini e Schifani: dal gennaio 2012 sistema contributivo per deputati e senatori. Ma i baby pensionati ci costeranno ancora 200 milioni
La casta si toglie un privilegio. O comunque comunica la volontà ufficiale di farlo. Con l'annuncio dello stop ai vitalizi per deputati e senatori, dalla prossima legislatura, chi entra per la prima volta in Parlamento avrà una pensione analoga (non per importo degli assegni, ma almeno per la procedura con cui questi sono maturati) a quella dei “comuni” lavoratori. A decidere per l'austerity - e non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che secondo la Costituzione le Camere si organizzano in autonomia amministrativa e finanziaria – sono stati i presidenti di Camera e Senato. Così ieri pomeriggio Renato Schifani e Gianfranco Fini hanno invitato il ministro del Welfare, Elsa Fornero, per un vertice a tre. Volevano mettere a parte il governo dell'intenzione di procedere entro la fine dell'anno a una «radicale modifica della disciplina in tema di assegni vitalizi». Cosa cambia Tanto per cominciare, per evitare il rischio di ricorsi, i privilegi acquisiti non si toccano. Chi oggi riceve il vitalizio continuerà a percepirlo tale e quale. Agli ex parlamentari invece, toccherà aspettare (un po') più a lungo. Secondo fonti parlamentari sono circa duecento i “poveri” emeriti onorevoli, tra i quali anche l'ex presidente della Camera Irene Pivetti, sul punto di ottenere l'assegno e che se lo vedono posticipato. Per i parlamentari in carica, invece, il calcolo del vitalizio seguirà il metodo contributivo a partire dal primo gennaio 2012. Questo sistema, quindi, si applicherà per intero per i deputati e i senatori che entreranno in Parlamento dopo l'entrata in vigore della riforma e ”pro rata” (cioè in in proporzione al tempo passato tra gli scranni e dunque ai contributi versati) per chi sarà parlamentare sia prima che dopo il 1° gennaio 2012, come gli attuali onorevoli. In sostanza, prima della riforma con una sola legislatura si maturava il vitalizio dai 65 anni. Ma bastava essere eletti la seconda volta affinché ciascun anno in più in Parlamento servisse per “abbattere” di un anno l'età minima per ottenere il vitalizio. Tradotto: con tre legislature complete da cinque anni c'è chi, e non sono pochi, ha avuto il vitalizio a cinquant'anni. Dal 1° gennaio 2012, invece, per parlamentari cessati dal mandato sarà possibile percepire il cosiddetto “trattamento di quiescenza” non prima del compimento dei 60 anni di età per chi abbia esercitato il mandato per più di una intera legislatura e al compimento dei 65 anni di età per chi abbia versato i contributi per una sola intera legislatura. 200 milioni l'anno Visto che i vitalizi già erogati restano invariati, le “baby-pensioni” dei parlamentari continueranno a pesare per circa 200 milioni l'anno. E il vice capogruppo Idv alla Camera, Antonio Borghesi, può ancora cavalcare il malumore anticasta: «Bisognava avere più coraggio e intervenire anche sul passato. Richiamare diritti acquisiti, che non esistono per gli altri lavoratori, appare quanto mai inadeguato». La correzione di rotta annunciata ieri era stata benedetta nei giorni scorsi proprio dal ministro Elsa Fornero. «In un momento in cui si è costretti a richiedere duri sacrifici alle famiglie», aveva sottolinea la Fornero, «con provvedimenti draconiani che colpiscono anche le fasce più deboli, non si può prescindere dall'abolizione delle ingiustificate posizioni di privilegio che perdurano per molte categorie difficilmente annoverabili tra i bisognosi, come i liberi professionisti con le loro casse e i politici con i loro vitalizi». D'altra parte della modifica del sistema dei vitalizi si parla ormai dalla scorsa legislatura, e alla Camera già alla fine di luglio si era deciso di intervenire. Già il 21 luglio l'ufficio di presidenza di Montecitorio ha stabilito la «definizione di una proposta di sostituzione dell'attuale sistema, a decorrere dalla prossima legislatura, con un nuovo sistema di tipo previdenziale analogo a quello previsto per la generalità dei lavoratori». di Chiara Buoncristiani