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Euro ko: stipendi bassi e prezzi folli

Il crollo della moneta unica è più di una ipotesi: per l'Italia significherebbe svalutazione al 50%, benzina al doppio e importazioni impossibili

Giulio Bucchi
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Il New York Times, più celebre quotidiano statunitense,  ha aperto ieri con un lungo articolo dedicato alla rottura dell'euro. Le  grandi banche internazionali fanno le prove tecniche immaginando il crollo della moneta unica. Angela Merkel, la cancelliera tedesca,   oppone ragionamenti contrari allo scenario, «ma alcune banche non ne sono più così sicure», si legge nell'editoriale del Nyt. «In particolare - continua - perchè la crisi del debito sovrano ha minacciato di investire la stessa Germania, quando gli investitori  ne hanno messo in dubbio il rango di principale pilastro della stabilità europea». Pochi giorni fa anche Cls bank, la più grande camera di compensazione del trading valutario, ha avviato gli stress test (ipotesi tecniche, ndr) per capire come reagiranno le altre monete e le banche internazionali di fronte all'addio all'euro. Girano pure voci di zecche in Svizzera che potrebbero stampare nuovi marchi o euro più pesanti e di compagnie turistiche che starebbero già stipulando contratti in dracme.  Se così fosse salterebbe tutto il banco. Leggende metropolitane? Forse sì. Ma dietro ogni voce c'è sempre un fondo di verità. Probabilmente anche al ministero dell'Economia e in Bankitalia qualche stress test per il ritorno alla lira sarà in atto. In gran segreto. In fondo però non c'è nulla di male a prevedere tutti gli scenari futuri, persino quelli più drastici. Il caso, appunto, del ritorno alle vecchie monete europee. Secondo uno studio dell'Ubs, se ciò avvenisse oggi ad Atene «ogni greco pagherebbe tra i 9.500 e 11.500 degli attuali euro il primo anno e 4.000 negli anni successivi, costi notevolmente superiori ai sacrifici dell'austerità». Sempre nel report della banca svizzera si legge che «il costo della fine dell'euro per un contribuente tedesco o olandese sarebbe otto o dieci volte più alto del più caro dei salvataggi», quanto meno nei dodici mesi successivi alla rottura.  Difficile in realtà avere idee precise su ciò che potrebbe succedere in Italia se si tornasse alla lira. Non esistono nella letteratura economica esempi di tale portata. Il caso più simile e vicino nel tempo è quello dell'Argentina. La moneta dei Paesi periferici euro si svaluterebbe tra il 30 e il 50 per cento. Al contrario, quella dei Paesi del Nord si rivaluterebbe almeno del 40%, mettendo fuori mercato interi settori industriali. La disoccupazione crescerebbe e con essa l'instabilità sociale. Ipotizzando di prendere a esempio le vicende del peso argentino subito dopo il disallineamento dalla parità virtuale imposta rispetto al dollaro (più o meno quello che succederebbe tra Italia e Germania), la lira cercherebbe immediatamente il proprio reale punto di equilibrio. La prime conseguenze sarebbero, nello scenario peggiore tra i peggiori, il raddoppio del prezzo di tutti i beni importati. Il carburante in ventiquattro ore passerebbe a quasi tre euro. Telefonini, automobili straniere, elettricità, gas dalla Libia, computer dalla Corea e Ipad raddoppierebbero il costo. Ci troveremmo a pagare il doppio i pezzi di ricambio delle auto straniere in garage. Su anche i prezzi degli alimentari. Dall'oggi al domani gli stipendi perderebbero potere di acquisto di un 30% almeno. Il lato positivo è che il debito pubblico italiano si svaluterebbe all'improvviso e ci troveremmo in una situazione già conosciuta in passato: avendo, a parità di livello tecnologico, un costo del lavoro più basso di quello dei concorrenti, l'Italia sarebbe un temibile avversario economico.  Nessuno più acquisterebbe Bmw o altre auto tedesche. Mentre a Berlino si farebbe la fila per le Fiat e le Alfa. Infine, se la svalutazione interna viaggiasse sulle stesse percentuali, sarebbe una benedizione per lo Stato spendaccione ma una vera e sonora  fregatura per tutti quegli italiani che hanno accumulato risparmi nel corso degli anni. Chi oggi ha 100 mila euro è come se si ritrovasse improvvisamente con 30, 40 mila euro in meno. C'è poi un altro scenario possibile che piace tanto a Loretta Napoleoni, l'economista cara a certa sinistra: il default pilotato. Ovvero lo Stato taglia i debiti e non  rimborsa più una percentuale o taluni creditori. Quasi il 40% del nostro debito è in mano agli stranieri. Se l'Italia dichiarasse default, rimborsando solo gli italiani possessori di titoli e mandando a ramengo gli stranieri come i francesi, risolverebbe in un colpo gran parte dei problemi. Si troverebbe con il 40% di debito in meno, una moneta svalutata e la possibilità di tagliare drasticamente le tasse (s'intende riformando la spesa). L'Italia volerebbe, insomma, se solo prima non venisse letteralmente invasa  dai carri armati degli ex alleati. di Claudio Antonelli

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