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L'Euro ora è sotto attacco: cosa ci succede se cade

New York Times: molti istituti preparano piani di emergenza per affrontare la crisi dell'Eurozona. Dagli stipendi alle case, cosa accadrà

Lucia Esposito
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La possibilità del fallimento dell'Eurozona non è più uno scenario possibile. Ora sta diventando una possibilità concreta soprattutto dopo l'allarme lanciato dall'agenzia di rating Fitch in cui annuncia il taglio del rating di 8 banche italiane: Bpm, Bper, Popolare di Sondrio, Credito Emiliano, Credito Valtellinese, Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza e Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. Per tutti e otto gli istituti di credito l'outlook è negativo. Nonostante le rassicurazioni incassate da Francia e Germania a Bruxelles, i mercati non sono più disposti ad aspettare. per questo le grandi banche del mondo si stanno preparando al piano B. Il New York Times, di oggi scrive infatti che molti istituti di credito (tra cui Merrill Lynche e Barclays Capital) hanno pubblicato decine di rapporti in cui esaminano la possibilità di un crollo dell'Eurozona. Stanno preparando dei piani di emergenza. Reazioni - "Ma le banche dei grandi paesi dell'eurozona che solo recentemente sono stati infettati dalla crisi non sembrano essere così agitate. Banche in Francia e Italia in particolare, - si legge ancora nell'editoriale de The New York Times- non starebbero creando piani di backup per la semplice ragione che essi hanno concluso che è impossibile che l'euro possa crollare. Sebbene banche come Bnp Paribas, Sociètè Gènèrale, UniCredit ed altre hanno recentemente scaricato decine di miliardi di euro di debito sovrano europeo, il pensiero è che ci sono pochi motivi per fare di più".  "Le authority degli Stati Uniti -continua ancora l'editoriale- stanno incalzando le banche americane come Citigroup ed altri istituti, a ridurre l'esposizione verso l'eurozona. In Asia, le autorità di Hong Kong hanno intensificato il monitoraggio dell'esposizione delle banche straniere e nazionali alla luce della crisi europea". Ripercussioni - Inevitabile chiedersi quali ripercussioni avrà sulle nostre tasche, sui nostri conti, l'ipotesi peggiore: il fallimento dell'euro. La prima, immediata, conseguenza è la perdita dei valore dei nostri beni mobili e immobili. Gli stipendi, il valore delle case, i conti correnti subirebbero un'inevitabile contraccolpa dal passaggio dall'euro alla lira.Altrettanto irrimediabile sarà lo spostamento di ingenti somme di capitali dall'Italia verso Paesi considerati "sicuri" come la Svizzera con una perdita ulteriore per l'economia. Il sistema bancario sarebbe definitivamente messo in crisi da uno scenario simile: gli istituti di credito sarebbero costretti ad ottemperare agli impregni internazionale con la moneta forte, mentre sarebbero alimentate da quella debole. Unici che potrebbero trarre vantaggio sono le imprese esportatrici che avrebbero quindi degli incassi in euro mentre pargherebbero tasse, affitti, salari degli operai in lire.  I costi -  L'eurocrac costerebbe 10mila euro a italiano  L'uscita traumatica dall'euro di alcuni Paesi, quelli il cui debito sovrano è sottoposto al tito incrociato della speculazione è ben più che un'ipotesi fantapolitica. La rottura dell'attuale equilibrio monetario ha dei costi che si spalmerebbero un po su tutti. E non soltanto nei cosiddetti Paesi Piigs, l'acronimo con cui gli analisti hanno accomunato Portogallo, Irlanda, Italia Grecia e Spagna, giocando sull'assonanza con la parola “Pigs”, vale a dire maiali. Uun gruppo di analisti della sede londinese di Ubs ha quantificato i costi. Su ogni italiano peserebbe una cambiale di circa 10mila euro l'anno per almeno un decennio. Se invece dovesse saltare tutto il sistema della moneta unica i costi scenderebbero. La nuova lira La nuova lira partirebbe svalutata del 50% rispetto al cambio attuale. Così per fare un euro ci vorrebbero circa 3.000 lire. Poco meno per comprare un dollaro. Gli effetti del deprezzamento delle nostre merci che renderebbero convenientissimo il Made in Italy su tutti principali mercati europei verrebbero però azzerati da dazi doganali di almeno il 50% che i i Paesi del Nord Europa imporrebbero subito. In compenso ci troveremmo a pagare carissimo il petrolio che importiamo (tutto) e questo scatenerebbe un'inflazione a due cifre. Sicuramente superiore al 10%. Diventerebbe insostenibile per le nostre finanze anche il perso dei titoli del debito pubblico emessi in euro, destinati a rimanere in circolazione. Senza contare gli interessi, pure questi non inferiori al 10%. Gli analisti di Ubs non escludono l'insorgere di violenti disordini sociali che potrebbero portare addirittura a alla guerra civile.

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