"Silvio lasciò perché ricattato" Bossi svela, il Cav smentisce
Umberto: i dirigenti hanno detto al premier 'ti distruggono le aziende'. La replica: "No, ha lasciato per senso dello Stato"
Umberto Bossi di nuovo all'attacco. "Silvio Berlusconi si è dimesso perché è stato ricattato, gli hanno ricattato le imprese". Lo ha detto a margine di un convegno a Gerenzano in provincia di Varese. "Gli hanno ricattato le imprese, pero' nessuno della stampa lo ha scritto", ha continuato, ma "tutti hanno visto che le sue imprese sono crollate in borsa del 12% in un giorno e non si è mai visto. Era evidente che fosse un segno di ricatto, ma tutti siete stati zitti", ha proseguito. "Ero presente anche io - ha raccontato - i suoi dirigenti a Roma gli hanno detto Silvio qui ti distruggono le imprese vai a dimetterti'. "Cosi' e' andato - ha concluso - tutti lo sapete". Palazzo Grazioli ha prontamente smentito: "Le dimissioni del presidente Berlusconi - recita la nota ufficiale dello staff del Cavaliere - sono state motivate dal senso di responsabilità e dal senso dello Stato, nell'interesse esclusivo del Paese". Su 'La Padania' - La precisazione, però, non cambia le carte in tavola. Bossi è più agguerrito del solito. Basta leggere la conversazione con il giornale di famiglia, La Padania. Senza giri di parole, il leader della Lega Nord bolla l'esecutivo di Mario Monti come "il governo dei fuori di testa. Il governo sta sconfinando", ha spiegato. Il punto è che, prosegue l'articolo di fondo del quotidiano, il Professore di Varese era stato scelto come permier per affrontare la crisi finanziaria. Una scelta "resa possibile da una martellante campagna stampa che da un lato ha demolito la credibilità del governo Berlusconi, arrecando un danno al Paese che prima o poi dovrà essere ripagato, e dall'altro reclamando a gran voce una compagine ministeriale formata da tecnici super partes e guidata da Super Mario". Il governo del Presidente - E questa compagine guidata da Monti, in considerazione delle ultime sparate del Quirinale, assomiglia in modo sinistro a un governo del Presidente, inteso come Giorgio Napolitano. Nel mirino di Bossi ci finisce anche l'inquilino del Colle, che si è mosso con interventi di "dubbia correttezza" pur di cacciare il Cavaliere e favorire Monti. Secondo il Senatùr lo scopo dichiarato del presidente della Repubblica, "che non è il popolo", era "rimettere i conti a posto". Peccato però che, oggi, la premiata ditta Monti-Napolitano stia "sconfinando in territori che non sono loro", prosegue il Senatùr. Il leader del Carroccio è preoccupato: a suo parere il vero obiettivo del nuovo sistema di potere è quello di "modificare diritti che il popolo non avrebbe mai consentito di toccare". Chiarissimo il riferimento alle pensioni e alle leggi sulla cittadinanza, un capitolo tornato in cima all'agneda di governo dopo le recenti esternazioni di Napolitano. La montagna e la scalata - Il ragionamento dell'editoriale de La Padania prosegue chiedendo "come potrebbe una maggioranza che non rispecchia il voto democratico mettere mano a quei diritti che appartengono al popolo e a nessun altro, indipendentemente dall'incarico ricoperto". Viene poi sottolineato come, fino ad adesso, di provvedimenti concreti varati dal governo Monti ancora non se ne siano visti. Efficace e tagliente l'ultima frase di Umberto Bossi: "Un conto è vedere la montagna in cartolina, altro discorso è scalarla...".