Se sul tema degli extracomunitari i tecnici fanno già politica
Il ministro Riccardi sposa le parole di Napolitano: dibattito in aula sulla cittadinanza. Una posizione che conferma i dubbi sull'esecutivo
Il presidente ha ragione, ci mancherebbe. Andrea Riccardi, passato in pochi giorni via Todi da leader della piccola e potente comunità di Sant'Egidio a ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, poteva in qualche modo non «dare ragione» a Giorgio Napolitano e alla sua frontale critica al processo di formazione della cittadinanza degli stranieri in Italia? No, non poteva. Al massimo poteva stare zitto come molti suoi colleghi, ma ha preferito commentare molto positivamente le parole del Quirinale. Pagina tre di Repubblica ieri era quasi integralmente occupata da una lunga intervista di Riccardi a proposito della proposta del Colle cui anche Libero ieri ha dedicato l'apertura del giornale. Con la diplomazia che gli è connaturata, il neo-ministro ha sposato in pieno le idee del capo di Stato, rivendicandone una condivisione molto radicata e anzi impegnandosi a farsi carico in Parlamento di una discussione tesa a «ripensare la cittadinanza». In sostanza, rendendola più facile per chi nasce nel nostro territorio. Siccome non c'è bisogno di ribadire che chiunque è libero di dire come la pensa, il problema resta la natura del governo Monti e della sua squadra. Chi, come il direttore di questo giornale, avesse messo per iscritto qualche dubbio sulle strette competenze «tecniche» dell'esecutivo troverebbe forti conferme ai suoi sospetti nella posizione di Riccardi, che poi ha fatto una specie di cauta retromarcia spiegando che comunque decide il Parlamento. Ed è nel rimbalzo delle dichiarazioni seguite ieri che questi sospetti si misurano, per ragioni in cui è complicato scindere merito e metodo. Tema decisivo - È un fatto che il tema della cittadinanza, e più in generale dell'integrazione, investa dal profondo l'idea di società, di convivenza, di identità che un partito o una coalizione politica presentano ai propri elettori. Allo stesso modo, questo è un punto su cui l'asse tra Pdl e Lega, con molte sfumature, presentava un'unità di intenti che, negli anni di governo, aveva dettato un lavoro comune. Non a caso proprio su nodi come questo (oltre a quelli cosiddetti etici) si è consumato lo strappo con Futuro e Libertà: e ieri il progetto di legge Granata-Sarubbi (un finiano e un deputato del Pd), nato dopo il «che fai, mi cacci?» è ripreso a correre nel dibattito. Certo, siamo alle chiacchiere. Però ieri su questo tema la vecchia maggioranza ha dimostrato di esserci ancora. L'ex ministro Luca Zaia, oggi governatore del Veneto, più comodo nei panni dell'opposizione, si è detto «allibito» delle interpretazioni sulle parole del Presidente della Repubblica. «L'attuale regime, legato al diritto di sangue, preserva la necessità che abbiamo e che vogliamo conservare di mantenere integra la nostra identità e di salvaguardare la continuità culturale con le nostre radici. L'Italia non ha certo bisogno di attrarre immigrazione e ricordo che in ogni caso la legge già consente di diventare cittadini italiani dopo dieci anni di residenza: il tempo minimo per dimostrare che, chi viene da lontano, ha davvero deciso e merita di vivere con noi». No alle forzature - Un altro dirigente del Pdl, Maurizio Lupi, è stato più cauto anche perché nel suo partito è stato tra i più solleciti a rivendicare l'appoggio al governo d'emergenza. Eppure anche lui ha sottolineato che l'esecutivo Monti è stato nominato per fronteggiare «crisi e speculazione», invitando a evitare «forzature» e banalizzazioni sul tema della cittadinanza. Anche perché Pdl e Lega, soprattutto per l'impegno di Maurizio Sacconi e Roberto Maroni, proprio sul percorso dell'integrazione avevano provato a dare forma e impianto legislativo rinnovato col progetto di cittadinanza a punti. È impensabile che Napolitano non avesse contezza delle parole che ha detto e delle loro conseguenze. Così come è evidente che qualunque progetto deve fare i conti con le forze in campo alla Camera e al Senato. Resta la sensazione che sia da snodi come questo che può passare la sopravvivenza o meno del bipolarismo. di Martino Cervo