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Merkel 'culina', sfottò a Sarkò Maglie: Fiorello imbattibile

Nel paese dei rosiconi Fiore è il più italiano di tutti: sghignazza di Angela, Nicolà e consorte difendendo con leggerezza l'Italia e gli italiani

Costanza Signorelli
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Se mi dovrò ricordare qualcosa del Fiorello exploit nel 2011 sarà la liberatoria presa per i fondelli del “tappo” Sarkò, il capoccion, sarà il gesto grazioso del “culetto piccolo così” della Merkel, saranno naturalmente anche le bandane a mezz'asta di Arcore, e “ tanto al terzo giorno risorge” a proposito delle dimissioni del Cav, fino al Mameli in chiave rap, perché sarà stata l'unica occasione e scelta di satira fatta non solo da uno bravissimo, un genio, ma anche da un italiano, invece che da un anti italiano. Capito? Nel difendere in tutta leggerezza il nostro Paese dall'esproprio e dallo sghignazzo di frau Merkel col baffetto evocativo e del signor Carlà, Rosario Fiorello ha fatto la sua parte migliore di ragazzo di popolo, di piazza, di destra, comunque e per chiunque voti.  Gli altri, i militanti, non potevano difendere l'Italia, troppo occupati a combattere Berlusconi lancia in resta. È un ricordo così importante che mi farà dimenticare la gag con i Coldplay e le giacche  scambiate, e pure la mano sul “pacco” trasformato in cellulare di futura generazione. È un ricordo così eccitante che volentieri lo accompagnerò ad altre battute superlative, vittime giornalisti in gran spolvero, da “come fa sesso Vespa”, a “quante mogli fa ho conosciuto Mentana”, fino a “Mazza che un tempo era Mazzetta”. Fiorello legge i giornali e guarda la tv con l'attenzione di pochi, i giornalisti non gli piacciono, anche quando li bacia in bocca, e glielo dimostra, mentre loro, che lo sanno, lo devono omaggiare. Italianissimo anche in questo. Fiorello non si batte, perciò gli converrebbe rilassarsi, smettere di vedere nemici da sfidare a duello sul web, dedicarsi al prodotto, esigere il massimo da sé stesso e dai suoi bravi autori, insomma prepararsi a terza quarta e chissà quinta puntata senza più timore alcuno che al primo exploit non segua il secondo; che è poi il timore sensato che lo ha fatto sbroccare, come si dice a Roma, dopo la prima puntata, che gli ha fatto vedere avversari, denigratori, invidiosi e rosiconi laddove c'erano veramente avversari, denigratori, invidiosi e rosiconi, perché this is Italy, caro Fiore, e il talento, il merito, il successo, magari accompagnati ai soldi, sono imperdonabili e imperdonati, ma c'erano e ci sono anche dei cronisti che fanno il lavoro loro e lo devono trovare il difettuccio, e c'erano dei critici benevoli e in buona fede. Fiorello non si batte, e la Rai ha fatto bene a investire denaro, attenzione, energia, protezione, propaganda come non si vedevano da molto tempo, perciò ora converrebbe all'azienda, al suo direttore generale e ai suoi zelanti esecutori allentare la presa, che non diventi una morsa, “'na pressa”, come direbbe lui, sul loro adorato e lunatico pupillo; fa male a lui che si parli di Fiorello in ogni telegiornale, trasmissione di approfondimento, talk show, l'ho fatto anche io e con gran pubblico domenica scorsa dal mio amico Massimo Giletti, troppe aspettative, esposizione, rischio di saturazione. E fa male alla Rai, perché ci dovrà pur essere una vita dopo Fiorello, e una Rai 2, una Rai 3, un progetto, un'idea di televisione generalista complessiva che dal Fiorello boom tragga linfa nuova, non afflosciamento da fine effetto. C'è Gigi Proietti, numero uno assoluto, c'è Paola Cortellesi, liberata dal birignao ideologico non avrebbe rivali, c'è la possibilità di fare fiction di alto livello invece che mediocre, lo sceneggiato in bianco e nero come il varietà, e non accontentarsi di risultati di ascolto solo decenti. C'era il vecchio reportage giornalistico, fatto con i fiocchi. Non ci sono soldi? Ma a spenderli, anche tanti, bene, tornano, non è stato così stavolta? Invece, finiti i Fiorello e pochi altri, si torna al muso lungo, al livellamento verso il basso, all'esaltazione del mediocre che non disturba. E allora non serve. Tornando a Fiorello. Il varietà è morto, viva il varietà, che come un re rinasce ogni volta che gli si dia un po' di fiato, rinasce ogni volta che ci si investe e ci si crede, perché il varietà, meglio il one man show, dove il one man sia sostenuto da spalle, ospiti, autori, canzoni degni di questo nome, e pazienza se la passerella non è lunga un chilometro, soprattutto il varietà nel quale il one man non si senta un santone, un profeta, è uno spettacolo che rallegra, consola, alleggerisce l'animo. L'uomo del varietà deve saper cantare, ballicchiare, meglio saltellare perfido, deve raccontare bene le battute scritte ma sapere quando e dove è necessario liberarsi del testo e improvvisare rischiando. Deve farsela sotto e poi riuscire a divertirsi. Deve essere il numero uno indiscusso, ma avere delle spalle formidabili, come Baldini, che faccia e  che voce, come Cremonesi, che tocco e che statura. Dico sempre che Fiorello è nato per sua sfortuna in Italia, e immagino che il ragionamento che segue non gli piaccia, nel senso che è prigioniero della nostra lingua, poco parlata, del nostro povero e limitato star system. Fosse americano, e a Broadway, con quelli che hanno fatto diventare bravo a cantare e ballare quel delizioso baccalà di Richard Gere, sei mesi di massacro e diventerebbe come Dean Martin e Jerry Lewis insieme. Però sta qui, e siamo contenti così, lo sia anche lui. di Maria G. Maglie

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