Per i giudici sono parti offese Papi Girls: davvero vittime?
Bunga bunga in Tribunale. Nel processo contro la Minetti, Mora e Fede, chiamate in giudizio anche le 29 'Olgettine'
I giudici usano la parola “vittime”, affiancandola all'espressione più propriamente tecnica di “parti offese”. E si riferiscono alle cosiddette Olgettine - oppure Papi girls o ancora ragazze del bunga bunga, ché ne sono stati inventati i pacchi di neologismi orribili per identificare la frequentatrici delle ormai universalmente famose feste di Arcore. In ogni caso è su questa definizione, e ovviamente su quel che ne consegue, che nasce il primo motivo di contrapposizione nel processo che vede Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti imputati di induzione alla prostituzione anche minorile - in sostanza accusati d'aver procacciato ragazze che poi, secondo l'accusa, si sarebbero concesse, anche sessualmente e comunque dietro pagamenti e utilità varie, a Silvio Berlusconi. Un dibattimento che s'annuncia rovente anche dal punto di vista più strettamente giuridico. Ieri la prima udienza, con il rinvio al 20 di gennaio. Da qui ad allora dovrà per l'appunto essere notificato alle 29 ragazze in questione il loro status processuale - “parti offese”, come detto - che eventualmente può portare alla loro costituzione di parte civile - così facendo si affiancherebbero nei fatti all'accusa - e anche alla richiesta di risarcimento in caso di condanna. Decisione, questa, già già presa dalle due ex miss Ambra Battilana e Chiara Danese, mentre la ragazza marocchina Imane Fadil ne ha inoltrato richiesta. Guarda la fotogallery: Ecco le Olgettine, parti offese... La spiegazione - Il ragionamento dei giudici è questo: fino a qualche tempo fa, in base alla vetusta legge Merlin, il “bene” protetto dalla legge rispetto ai reati contestati al trio Fede-Mora-Minetti s'indentificava «nella sola tutela del buon costume e della moralità pubblica e, di conseguenza, riconosceva al solo Stato la qualifica di persona offesa e alle vittime la mera qualifica di soggetto passivo, eventualmente danneggiato dal reato». I giudici della quinta sezione penale di Milano ritengono però che questa giurisprudenza sia ormai sorpassata, e per farlo richiamano due sentenze della Cassazione del 2004 e del 2011 e tre sentenze dei tribunali di Roma, Napoli e Palermo, oltreché le «numerose convenzioni internazionali cui lo Stato italiano ha aderito in tema di tutela della libertà umana, di repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione». Ragion per cui, la «tutela della dignità e della libertà della persona umana» deve prevalere sulla «tutela del buon costume e della moralità pubblica», e le «vittime» dell'induzione e del favoreggiamento della prostituzione devono considerarsi «persone offese». Ragionamento che, per la verità, trova più che comprensibile applicazione in situazioni in cui la denuncia da parte della donna indotta a prostituirsi può essere per qualunque motivo disincentivata, magari per paura o quant'altro. Ben contente - E però, nonostante tutto, riesce invece difficile - perlomeno allo stato attuale - intravedere prevaricazioni più o meno esplicite alla base del comportamento delle ragazze in questione, la cui rilevanza penale deve comunque ancora essere processualmente stabilita. Ragazze che peraltro si mostravano ben contente di affitti pagati e auto regalate e sovvenzioni generose - ma questo, dal punto di vista giuridico, poco conta. Dice: ma guarda che il reato d'induzione della prostituzione non presuppone necessariamente una costrizione fisicamente violenta. E infatti sarà presumibilmente su questo che si giocherà gran parte del processo. Certo è che lo scontro in toga è partito. Gli avvocati delle tre ragazze già entrate “in partita” si mostrano in qualche modo soddisfatti, uno parla di «provvedimento che farà storia dal punto di vista culturale» e un'altra spera che tutte le ragazze vogliano prendere al volo l'occasione. D'altra parte, Niccolò Ghedini - che perlomeno di questo processo non si deve occupare, essendo la posizione di Berlusconi stata a suo tempo stralciata - definisce quella dei giudici milanesi «una tesi assai ardita, che va contro l'interpretazione della legge» avendo «seguito una giurisprudenza minoritaria». L'avvocato Paolo Righi, difensore di Nicole Minetti, ha già annunciato la sua opposizione alle eventuali costituzioni di parte civile. Mentre Emilio Fede ha parlato della questione in apertura di Tg4, invitando i giornalisti a leggere le carte «riflettere bene, perché quello che capita oggi a me potrebbe capitare a chiunque. Alcune decisioni di un tribunale di Milano meritano grande, ma grande attenzione: legale, umana e... politica». E siamo alla prima udienza. di Andrea Scaglia