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Pansa: l'Italia può salvarsi, saliamo sulla zattera di Monti

Siamo in guerra e servono misure straordinarie. La scialuppa del premier non promette di essere comoda, ma è meglio che naufragare

Giulio Bucchi
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Immagino che non pochi lettori di Libero, i più anziani, abbiano vissuto l'esperienza terribile di trovarsi sotto un bombardamento aereo. A me è capitato da ragazzino, tra gli otto e i nove anni, nel maggio 1944. Una domenica mattina, verso mezzogiorno, non segnalati da nessuna sirena d'allarme, arrivarono sulla mia città gli  aerei americani. Avevano un obiettivo: distruggere i due ponti sul Po, uno pedonale, l'altro ferroviario. Erano sette o otto, non di più. Bimotori, il muso a punta, cupoletta di plastica. Volavano bassi. La stella bianca sulla coda si vedeva a occhio nudo. Le bombe, le prime destinate alla città, cominciarono a cadere con un frastuono dell'altro mondo, un rumore che schiantava il cervello. Stavo seduto sulla ringhiera del nostro condominio, intento a mettere in ordine le figurine dei calciatori. E venni assalito da un terrore che non avevo mai provato. Rivolto a mia madre Giovanna, gridai: «Mamma, perché dobbiamo morire?». Lei mi attirò a sé, contro il suo corpo ciccioso, e rispose: «Stai tranquillo, Giampa. Non è l'ora di morire, ma di mangiare le frittelle di riso che ho appena fatto!». Oggi, nell'anno 2011, siamo ancora sotto le bombe. Ci piovono addosso gli spread e i nostri disgraziati titoli pubblici. E invece delle madri con le frittelle, ci aspetta il professor Mario Monti. In mano tiene il menù della dieta severa che dovremo fare. Per ridurre la nostra obesità di cicale che hanno sempre vissuto, ingrassando, al di sopra delle possibilità. L'ho già scritto su Libero e l'ho detto in più di una intervista radiofonica. Il governo Monti (di emergenza, tecnico, di impegno nazionale, chiamiamolo come ci pare) ha il mio consenso totale. A questo devo aggiungere la mia gratitudine personale per il Professore. Monti non è più un giovanotto, ha 68 anni, e non era certo disoccupato. Poteva continuare a fare il guru, l'editorialista, il consulente, il capo supremo della Bocconi.  Invece si è preso questa gigantesca gatta da pelare dell'Italia di oggi. E siccome non credo alla favola fumettara del complotto dei poteri forti, della Spectre dei banchieri, del dominio dello Stato imperialista delle multinazionali (rammentate lo slogan delle Brigate rosse?) mi domando chi glie l'abbia fatto fare. Un risposta ce l'ho: lo spirito di servizio, per salvare il suo e il nostro paese da un inferno capace di ridurci tutti in cenere. Insieme a Monti, penso che gli italiani debbano ringraziare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Dovremo soprattutto a lui se il nostro paese avrà qualche speranza di restare in piedi. Sin da piccolo mi hanno spiegato che, quando è il momento, bisogna saper dire grazie, senza esitazioni. La gratitudine non è un segno di debolezza, ma di forza. Voglio ricordarlo a tutti gli umoristi che, una volta andato a carte quarantotto il Cavaliere, hanno trovato qualche altro modo per ridere ballando sulle macerie. Con il cappello in mano, dovrebbe ringraziare anche la Casta dei partiti. Dove non tutti hanno compreso sino in fondo che siamo in guerra. Se lo avessero capito, anche i più stupidi della Casta si guarderebbero bene dallo sparare cazzate. Mi viene in mente l'onorevole Domenico Scilipoti, già cocco di Tonino Di Pietro e poi passato nelle file del centrodestra. Costui è arrivato in Parlamento con una fascia nera sul braccio. Per certificare che con il governo Monti la democrazia era morta. Un altro che non ha ancora compreso, o finge di non comprendere, in quali acque ci troviamo è il cavalier Berlusconi. Pensavamo che si fosse ritirato ad Arcore per scrivere, o farsi scrivere, le proprie memorie. Invece no. Come succede nella notte dei morti viventi, è ritornato subito sulla scena. E ci ha spiegato che il governo Monti rappresenta «una sospensione della democrazia». Anzi, a sentire un eccellente cronista del suo Giornale, il Cav si sarebbe spinto a concionare di «assalto alla democrazia». Meglio non parlare della Lega. Il partito di Umberto Bossi ha deciso di dire no e soltanto no a qualsiasi tentativo di salvare l'Italia. I leghisti si stanno rinchiudendo nel loro piccolo orticello nordista. Un gesto suicida, che riduce in fumo anche le proposte ragionevoli della Lega. Il giorno che, Dio non voglia, ci sarà il crac dell'Italia anche il presunto Parlamento padano verrà spazzato via dalle piazze infuriate dei risparmiatori che hanno visto svanire i sacrifici di una vita. E il Senatur non avrà più neppure un ghello per comprarsi i mezzi toscani.  Dovrebbe essere molto cauto anche il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani. Da giorni e giorni, non fa che ripetere: «Chi ha di più, deve dare di più!». Lo grida con il tono minaccioso che gli è usuale. Fingendo di dimenticare la palla al piede del caso Penati, il suo collaboratore più stretto, messo nei guai dall'inchiesta giudiziaria sulle tangentissime di Sesto San Giovanni. Bersani si è chiesto se anche il suo amato Filippo si è messo in tasca qualcosina più degli altri? E se è così, Bersani lo convincerà a dare di più? Quello che piace tanto al segretario del Pd è uno slogan da ammuffita lotta di classe. Per fortuna, Monti si è ben guardato dall'adottarlo. Il Professore ha enunciato un programma molto diverso. Riassunto dalla formula: «Dovremo chiedere un sforzo a chi ha dato di meno». La sottoscrivo con entusiasmo. Anche perché, tra chi ha dato di meno, ci sono le migliaia di evasori fiscali che, sino a oggi, nessun governo è riuscito a stanare o ha voluto farlo. Mi auguro che il governo dei Professori duri abbastanza a lungo per poter affrontare anche la piaga terribile delle tasse che molti non pagano. Dalle mie parti si dice che non bisogna mai spiegare ai gatti come si superano i muri. Tuttavia un consiglio voglio darlo a Monti e ai suoi ministri. Visto che siamo in guerra, non ha senso rifiutare misure straordinarie. Una è quella di pubblicare i redditi dichiarati da tutti gli italiani e non soltanto quelli del premier e dei ministri. Con nome, cognome, comune di residenza e importo. Aveva deciso di fare così Vincenzo Visco, ministro delle Finanze nel secondo e ultimo governo Prodi. Mentre quell'esecutivo cadeva, nell'aprile 2008 Visco mise su Internet gli elenchi delle dichiarazioni Irpef relative al 2005. Poi intervenne il Garante della privacy e ne vietò la pubblicazione. Ma i pochi dati che i giornali riuscirono a stampare riservarono sorprese clamorose. Mancavano i redditieri più grossi. Mentre i contribuenti fedeli, gente che guadagna con il proprio lavoro e non spacciando droga o speculando in Borsa, vennero ritenuti i ricconi del paese. Mi piacerebbe veder ripetere questo esperimento e in modo completo. Avremmo un ritratto dell'Italia ben più veritiero di quello che i bugiardi della Casta politica sono soliti offrirci. Verranno in chiaro realtà vergognose, ingiustizie abissali, sprechi e porcherie che si è cercato di nascondere sotto il tappeto. Soltanto allora gli sforzi per far rialzare l'Italia saranno compresi e accettati da tutti. Monti ha appena iniziato una grande operazione di verità. Mi auguro che riesca a condurla sino in fondo. È l'unico modo per rendere solida la zattera che sta preparando per il nostro paese infelice. Sappiamo tutti che sulle zattere non si sta comodi, mancano gli agi delle cabine di una lussuosa nave da crociera. Ma è sempre meglio che finire tra le onde di un mare in tempesta. Per di più gremito di pescecani pronti a straziarci. di Giampaolo Pansa

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