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Il padre del bimbo investito offeso dallo spot di un'auto

"L'unica regola è che non ci sono regole": il papà del 12enne ucciso sulle rotaie del tram si scaglia contro un maxi cartellone.

Nicoletta Orlandi Posti
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Il papà del piccolo Giacomo Scalmani, il 12enne che in sella alla sua bici è stato travolto da un tram in via Solari a Milano il 5 novembre scorso, si scaglia contro la pubblicità di un'auto. Un maximanifesto che campeggia in piazza Sant'Agostino e che, per il genitore, offende la memoria di suo figlio. In un'accorata lettera pubblicata dal Corsera Davide Scalmani commenta l'enorme pubblicità di un nuovo modello di automobile copre l'intera facciata di un edificio. "Il cartellone - scrive - è studiato per colpire con forza lo sguardo e comunicare l'idea che l'acquisto di quel veicolo costituirà la realizzazione definitiva di quelle pulsioni trasgressive che oggi sembra indispensabile esibire per stare al mondo. Lo slogan è di quelli già sentiti, ma non potrebbe essere più esplicito: L'unica regola è che non ci sono regole". Per il papà di Giacomo, "riferito all'auto, cioè all'oggetto tecnico che più problemi crea alla vita collettiva delle nostre città, che più morti causa nelle nostre strade, quello slogan dà i brividi. La gente che attraversa la piazza sotto l'enorme cartellone è ridotta a dimensioni minuscole, schiacciata da una presenza fuori scala. Tutti sembrano indifferenti al cartellone, alla volgarità delle sue dimensioni e all'oscenità del suo messaggio". Il cartellone "impone semplicemente se stesso e la sua legge al mondo. Alieno e disumano, i milanesi che ci camminano sotto sembrano solo poterlo subire. Provate ad andarci e ditemi se non avrete quella sensazione anche voi", scrive il signor Davide. A pochi metri da lì, in via Solari, "è morto dieci giorni fa mio figlio mentre tornava a casa in bicicletta. Ai piedi di un albero sul marciapiede, ci sono fiori e parole per ricordare Giacomo. Sono rimasto a lungo lì con il mio dolore, cercando di trarre una speranza dagli sguardi dei passanti, dai gesti rallentati di chi si ferma, dalle due parole scambiate davanti ai fiori". "Tutto ciò -conclude- mi sembra esprimere quel senso di comune appartenenza di tutti noi che lottiamo ogni giorno silenziosamente per dare senso alle nostre vite. So che i milanesi devono poter contare su questo senso di comune appartenenza, e che dobbiamo aiutare le istituzioni cittadine in questa direzione. È un compito di comune civiltà, non tiriamoci indietro".

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