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Ecco il Pdl dei veleni e sospetti: Si vedono traditori ovunque

Metà dei parlamentari azzurri è contro Monti: è una trappola. Tensioni contri chi vuol trattare

Lucia Esposito
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Alla fine di una giornata di stallo, dove sono emerse ancor di più le divergenze all'interno del Popolo della Libertà, tocca a Ignazio La Russa dire a mezza voce una sacrosanta verità: «Monti è entrato Papa e potrebbe uscire cardinale». La situazione per il presidente della Bocconi, infatti, si sta ingarbugliando. Accolto già come il nuovo premier ieri a Palazzo Madama, con i senatori in fila a stringergli la mano, la sua nomina potrebbe non avvenire mai proprio per le fibrillazioni interne al partito del premier. Insomma, mezzo Pdl, specialmente gli ex An (ma diversi azzurri) non lo vuole. E finora a poco sono servite le rassicurazioni di Silvio Berlusconi. Una buona fetta di ministri e di parlamentari non vuole infilarsi in quella che reputa «una trappola bella e buona, con l'Udc che rischia di rubarci i deputati e la Lega che, se sta all'opposizione, punterà a prendere i nostri voti al Nord». Che la tensione sia altissima lo dimostra anche la rissa verbale andata in scena tra il ministro Franco Frattini e gli ex An. Ma il clima è questo. Ci si guarda in cagnesco. E per i duri e puri quelli troppo a favore di un governo Monti (non solo Frattini, ma anche Roberto Formigoni, Gianni Alemanno, Claudio Scajola) vengono considerati dei venduti. Il rischio è di non fidarsi più gli uni degli altri. E a quel punto la deflagrazione sarebbe inevitabile, con le spinte centrifughe ormai vicine al punto di non ritorno.  Ma con sospetto si guarda anche al Quirinale. Se il Cavaliere è nervoso per il protagonismo del Colle, nel partito sono addirittura inviperiti. Anche perché boatos dicono che Napolitano non prenderà in considerazione eventuali nomi alternativi proposti dal premier, ma tirerà dritto su Monti, che poi andrà in Parlamento a cercarsi la fiducia in un clima da Vietnam. «Se il presidente della Repubblica va avanti senza considerare le nostre richieste, allora vuol dire che dovremo regalargli una bella foto di Oscar Luigi Scalfaro da mettere sul comodino», osserva il ministro Gianfranco Rotondi. Ma l'irritazione del Pdl è dovuta anche al fatto che Napolitano e Monti stanno stilando la lista della squadra di governo da soli, senza consultare nessuno. E pensano a un programma che va oltre i punti concordati con l'Europa. E che comprende, per intenderci, la patrimoniale. Così, ieri, nel vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli (presente il Cavaliere, Gianni Letta, Angelino Alfano e il resto dello stato maggiore del partito) - summit che aveva le sembianze di un vero e proprio consiglio di guerra -, è rispuntata l'idea (avallata anche da Bossi, che spinge per Lamberto Dini) di avanzare nomi alternativi a Monti. Qualcuno propone lo stesso Alfano, ma il nome che piace di più, anche per non bruciare il segretario come futuro candidato premier, è quello del presidente del Senato Renato Schifani. Un esecutivo in cui, naturalmente, potrebbe entrare anche Monti, anche se difficilmente sarà disponibile a fare “solo” il ministro. Oppure, in alternativa, c'è l'idea di chiedere a Napolitano e al presidente della Bocconi di mettere in piedi una squadra tutta di tecnici. «Così nessuno, né noi, né il Pd e nemmeno la Lega, ci metteremmo la faccia in prima persona. Anche perché qui tira aria di patrimoniale e il Cavaliere è contrarissimo», spiegano da via dell'Umiltà. Inoltre, «in questo modo si terrebbe unito il partito e verrebbe salvaguardata l'alleanza con il Carroccio». Oggi, dopo il voto sul bilancio alla Camera e le dimissioni del premier al Colle, si terrà l'ufficio di presidenza del Pdl e lì si tireranno le somme, cercando di arrivare a una sintesi che metta d'accordo tutti. Ma che lo scontro sia anche sul programma del nuovo esecutivo e non solo sui nomi lo dimostrano le riflessioni di un “pro-Monti” come Fabrizio Cicchitto, secondo cui «è chiaro che la composizione e la base programmatica del nuovo esecutivo va discussa con i partiti che poi dovranno votarlo in Parlamento».  di Gianluca Roselli

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