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Iniziato il mercato delle vacche per 'comprarsi' gli azzurri

Solo se i parlamentari del Cav resisteranno alle lusinghe di Monti, Napolitano e Terzo Polo si potrà andare alle elezioni

Lucia Esposito
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C'è già la prima data. I rumors di Montecitorio di ieri sera, speculando a caldo sulle dimissioni annunciate da Silvio Berlusconi, indicavano l'11 marzo, o una delle domeniche adiacenti, come il giorno più plausibile per lo svolgimento delle elezioni anticipate. Sempre che l'aggressione dei mercati nei confronti dei titoli italiani non imponga date «emergenziali», a febbraio se non addirittura a gennaio, per dare quanto prima al Paese un nuovo Parlamento, una nuova maggioranza e un nuovo governo. Non esistono precedenti di voto nei primi due mesi dell'anno, ma è vero anche che sino a un mese fa solo gli addetti ai lavori sapevano cosa fosse lo spread con i Bund tedeschi. Si tratta comunque di un appuntamento per un evento che al momento è probabile, ma non sicuro. Uscito dal Quirinale, ieri sera Berlusconi ha detto di non credere in nessun altro sbocco della crisi che non siano le urne: «Non spetta a me decidere, ma io vedo solo la possibilità di nuove elezioni. Il Parlamento è paralizzato». Tutto vero, ma in Parlamento le cose possono cambiare. Di sicuro, prima di sciogliere le Camere Giorgio Napolitano proverà a mettere in piedi un nuovo governo con quello che gli offrono le Camere attuali. Lavoro semplice a Montecitorio, ma che si annuncia molto più difficile a palazzo Madama. Con Berlusconi e Umberto Bossi il presidente della Repubblica ha preso un solo impegno: niente governicchi che si reggono in piedi per pochi voti, nessun ribaltone puntellato da un pugno di transfughi. Ma se il centrodestra nelle prossime settimane dovesse sfaldarsi sul serio, creando gruppi ampi smaniosi di appoggiare soluzioni diverse da quella auspicata dal premier, tutto cambierebbe. L'osservato speciale, manco a dirlo, è il Popolo della libertà. Il partito guidato da Angelino Alfano dovrà dimostrare di essere un partito vero, in grado di resistere al tramonto politico del proprio fondatore. E i parlamentari dei suoi gruppi dovranno provare di essere fatti di buona fibra. Molti di loro sono alla prima avventura da eletti, che rischia anche di essere l'ultima, e per avere diritto al vitalizio al compimento del sessantacinquesimo anno dovrebbero restare in carica cinque anni. In parole povere, costoro hanno tutto l'interesse economico ad avallare qualunque soluzione porti la legislatura alla sua fine naturale, nel 2013. Andando così contro le aspettative di Berlusconi. Il sospetto che molti di quelli che sinora sono rimasti leali al premier siano pronti a “tradire” è forte. Di sicuro, è in questo che sperano gli esponenti dell'opposizione intenzionati a dar vita a un esecutivo delle larghe intese, che pure ieri sera Berlusconi ha esplicitamente bocciato: «Non è assolutamente pensabile che in una democrazia possono assumere responsabilità di governo le forze che hanno perso le elezioni». Nelle prossime settimane sapremo se la pensano così anche i parlamentari che mise in lista e fece eleggere nel 2008. Un dirigente di Fli, ieri sera, scommetteva sul contrario: «La Camera si è già sganciata da Berlusconi. E credo proprio che il Senato, ora che ha annunciato le dimissioni, la seguirà. Sarebbero dei pazzi a rifiutare la nostra offerta di fare un governo Monti, nel quale siamo pronti a dare un ruolo importante anche a Gianni Letta». Ai senatori del Pdl, che sinora hanno dimostrato di sapere resistere alle pressioni, il compito di smentirlo. Quello di Monti, settantenne economista varesino ed ex commissario europeo per la Concorrenza, è uno dei nomi che Napolitano già si è sentito fare nelle consultazioni informali che ha tenuto nei giorni scorsi, e che gli sarà ripetuto nelle consultazioni ufficiali che inizieranno non appena Berlusconi si dimetterà, cioè tra una ventina di giorni. Su Monti puntano (almeno in apparenza) tutte le opposizioni, esclusa l'Idv di Antonio Di Pietro, che spera che il governo tecnico, quello della «macelleria sociale», si faccia, ma solo per poterne parlare male e consentirgli di rubare voti al Pd. La prima onda d'urto che il Pdl dovrà dimostrare di saper reggere compatto sarà probabilmente proprio Monti, candidato numero uno per ricevere da Napolitano l'incarico di formare il prossimo governo. Meno credibili altri nomi, pure graditi al Colle e tagliati per il “lavoro sporco”, come Giuliano Amato. Se i parlamentari del Cavaliere dimostreranno di resistere alle lusinghe di Monti, Napolitano e Terzo Polo, il Quirinale potrebbe virare su una scelta meno di rottura rispetto agli assetti attuali: conferire un mandato esplorativo a Renato Schifani, presidente del Senato e quindi seconda carica dello Stato. È un'ipotesi istituzionale, che allo stesso tempo consentirebbe a Berlusconi di giocare in casa e a Napolitano di garantire chi ha vinto le elezioni del 2008. La probabilità che si tratti di un incarico “pro forma” è alta: una scelta simile porterebbe probabilmente alla constatazione dell'impasse parlamentare e allo scioglimento delle Camere. Meno credibile appare oggi l'eventualità che si formi un governo politico guidato da un esponente del Pdl diverso da Berlusconi e appoggiato dall'Udc. Angelino Alfano o lo stesso Letta sono i nomi spendibili, invocati ad alta voce da esponenti della Lega e dello stesso Pdl. Ma Pier Ferdinando Casini e il terzo polo non sembrano disposti ad appoggiare simili soluzioni. E forse al Pdl va bene così: Alfano è l'uomo sul quale si punta per costruire il futuro e farlo diventare premier così sarebbe il modo migliore per bruciarlo. di Fausto Carioti

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