Premier testa di C: i retroscena sulla telefonata del vicedirettore
Franco Bechis: "Un dirigente del Pdl mi ha detto: 'Berlusconi si dimette'. Poi ore di ipotesi, smentite e accuse"
La sorpresa è arrivata verso le 9 e mezza del mattino negli studi di La7, mentre stava finendo in diretta la trasmissione Omnibus a cui stavo partecipando come ospite. Enrico Mentana è entrato in studio e ha accompagnato quello che tutti indicavano come il gran regista dello smottamento Pdl di questi giorni: Paolo Cirino Pomicino, vecchia volpe della politica democristiana. Con la sua consueta aria sorniona ha annunciato: «Credo che Silvio Berlusconi si dimetta già in giornata, o comunque domani prima del voto in aula sul rendiconto generale dello Stato». Per tutta la trasmissione avevo escluso questa ipotesi, ritenendola poco ragionevole: l'opposizione aveva annunciato l'astensione sul rendiconto, molti dei dissidenti dell'ultima ora avevano già detto sì a quel testo un mese fa. Conoscendo però Pomicino e il suo sorriso furbetto dalla metà degli anni Ottanta, uscito dagli studi ho provato a verificare il suo annuncio. Chiamando un alto dirigente del Pdl assai vicino al segretario Angelino Alfano. La telefonata choc tra Bechis e un dirigente Pdl. Ascolta su LiberoTv La telefonata, colloquiale, è iniziata così: «No, oggi quella testa di c… deve andare a Milano. Ha degli appuntamenti. Torna stasera e si dimetterà domani». Chiesto all'interlocutore se la notizia era sicura, mi sono sentito rispondere: «Beh… questo era quello di stanotte all'una, ecco». E aggiungeva: «Oggi c'è il rischio che se ne vadano altri due o tre. Per questo serviva lo facesse stamattina. Perché se lo fa stasera, ogni ora che passa è più debole». Il dirigente del Pdl spiegava poi che al Senato il governo «per adesso tiene», ma che Berlusconi era pronto a proporre al capo dello Stato «Gianni Letta, ma l'Udc non accetta. Perché l'Udc vuole anche il Pd e noi il Pd non possiamo accettarlo». Il dirigente Pdl insisteva a spiegare la concitazione del momento: «Ogni ora che passa è peggio. Doveva dimettersi stamattina, perché magari ne escono altri due o tre». Dopo questa telefonata ho chiamato un altro autorevole esponente del Pdl lombardo, per avere conferma. Mi ha spiegato che il governo oggi sul rendiconto dovrebbe farcela, con l'astensione delle opposizioni «ma subito dopo si sarebbe aperto il problema». Il vertice notturno? «C'erano due ipotesi. Una era quella delle dimissioni preventive. L'altra è quella che ha avanzato lo stesso presidente del Consiglio: chiedo che sia fatta passare la legge di stabilità con al suo interno i provvedimenti chiesti dall'Europa e annuncio che mi dimetto subito dopo quel voto. Questa strada a dire il vero era stata proposta dall'Udc, ma non so se oggi verrebbe accettata, perché hanno paura che lui si rinvigorisca. Comunque lui oggi è andato a Milano». Perché c'era un pranzo con i familiari e pare anche con Fedele Confalonieri: «Già», commenta serio l'esponente Pdl lombardo, «perché sono quelli che riescono a farsi ascoltare di più da lui». Dicono che anche in famiglia siano spaccati fra chi appoggia dimissioni subito e chi dice di non farlo. «Ma come c… fa a non dimettersi? Potrebbe farlo solo se avesse i numeri. Ma i numeri è chiaro a tutti noi che non ci sono. E lui più va avanti, più diventa debole. Perché ad esempio è già evidente che la soluzione Letta, possibile qualche giorno fa, diventa sempre meno praticabile. Forse già ora non più praticabile, perché l'Udc già si sfila». Per verificare anche questo punto ho chiamato Giustina Destro, una delle primissime a lasciare il Pdl nelle scorse settimane. Lei ha smentito, sostenendo di averlo appreso da fonti dirette, qualsiasi ostilità di Pier Ferdinando Casini nei confronti dell'ipotesi di governo di Gianni Letta. In due altre telefonate mi sono state fornite anche indiscrezioni sui 3 o 4 che erano pronti ad uscire dal Pdl. Li ho cercati. Due non mi hanno risposto. Il terzo, Roberto Tortoli, ha rivendicato un dissenso noto, ma ha giurato che non se ne sarebbe andato dal gruppo: «non voterò mai contro Berlusconi». Visto quel che avevo detto con grande sicurezza in tv, con notizie a questo punto attendibili ho rettificato la mia certezza che questa settimana non sarebbe accaduto nulla con le nuove informazioni via Twitter, che è il modo anche più rapido per scrivere nel blog a mia firma sul sito Internet di Libero news. Il racconto dei fatti che man mano precisavo (su Twitter si possono scrivere solo poche parole) si è intrecciato all'improvviso con l'annuncio di Giuliano Ferrara, che vaticinava dimissioni di Berlusconi “ad horas”. Molti nel Pdl le davano quasi sicure dopo il vertice notturno. È lì che è scoppiato il pandemonio. L'ipotesi è stata ripresa da agenzie internazionali che forse non attendevano altro, e improvvisamente ha scosso i mercati, facendo girare la borsa di Milano da -1,5% a + 1,5% con gli spread dei titoli di Stato in calo. Si è alzato subito in piedi un deputato Fli, Aldo Di Biagio, e ha accusato me e Giuliano Ferrara di aggiotaggio. Qualcuno ha presentato un esposto alla Consob, che è sempre roba seria. A quel punto ho difeso la genuinità dell'informazione mettendo on line sul sito di Libero un piccolo stralcio della telefonata con il primo interlocutore, distorcendone la voce perché non fosse riconoscibile. I contenuti erano lì a dimostrare tutto. Ma non interessavano: è iniziata la caccia all'untore. Chi diceva che fosse Giulio Tremonti, chi Osvaldo Napoli, chi Guido Crosetto, chi Nicolò Ghedini e una decina di altri ancora. E alla fine anche la Consob ha aperto perché altro non poteva fare un fascicolo di ufficio, riservandosi di «fare gli accertamenti del caso come sempre quando indiscrezioni di stampa hanno impatto sui mercati». Ma ha gettato subito acqua sul fuoco: «ad una prima analisi l'episodio sembra ricadere nelle normali dinamiche della politica e non sembrano esserci anomalie». L'unica cosa normale in una giornata impazzita. di Franco Bechis