Ma Bersani deve rifiutare: senza forze per la sfiducia
L'Udc chiama ma il Pd è l'unico partito a perdere deputati nel crollo del Pdl. Così non propone la mozione sul rendiconto
Nel caos della crisi di governo ormai imminente tutti hanno voce. Berlusconi tace, ma l'ultima parola la metterà lui. Parlano Verdini e Letta, i transfughi come Gabriella Carlucci, le ribelli indecise come Isabella Bertolini. Fa la voce grossa anche Pier Ferdinando Casini, che detta la linea al Pdl e avverte: sì a un governissimo dalle intese larghe, larghissime, addirittura fino al Pd. Già, il Pd. Sabato i democratici si sono dati appuntamento a piazza San Giovanni per dimostrare di avere le forze per dare la spallata al governo. Il risultato? Il governo, se cade, cadrà per decisione propria. E l'opposizione non la fa la sinistra, ma il Terzo Polo, il favorito numero uno in caso di cambio di colore. E così Pier Luigi Bersani continua ad uscire centrifugato ogniqualvolta intravede la possibilità di contare un po' di più. A Montecitorio la slavina di deputati Pdl fa guadagnare numeri a tutti, solo lui li perde. Con i radicali, ormai, è frattura totale. I pannelliani si contano sulle dita di una mano, ma alla Camera sarebbero più che utili: decisivi. Senza di loro, e con Casini impegnato a trattare direttamente con i vertici del governo, il povero Bersani non può nemmeno ripetere i suoi slogan da piazza. "Berlusconi si deve dimettere, altrimenti lo cacciamo noi". Ma come? Il modo ci sarebbe: mozione di sfiducia sul rendiconto finanziario, dove un secondo passo falso provocherebbe un collasso alla maggioranza in agonia. Il problema è che se il governo sta male, l'opposizione non si regge in piedi: proporre la sfiducia senza avere la sicurezza di portare a casa il risultato non sarebbe un autogol (l'ennesimo), ma un'automutilazione. Come sperare, nel caso, di raccogliere l'eredità di Berlusconi con governi tecnici o governissimi se non si è riusciti a raccogliere le forze nel momento decisivo?