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Il mite Shimon Peres minaccia: l'Iran ha le ore contate

Il presidente israeliano: imminente l'attacco contro le installazioni nucleari se Ahmadinejad non fa marcia indietro.

Nicoletta Orlandi Posti
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Simon Peres ha annunciato ieri che Israele si sta preparando all'ineluttabile necessità di bombardare le centrali nucleari iraniane in cui senza ormai ombra di dubbio il regime degli ayatollah sta preparando una bomba atomica: «Le chance per una soluzione diplomatica al problema posto al mondo dal programma nucleare iraniano si stanno affievolendo, mentre, l'opzione militare è più vicina. I servizi d'intelligence di vari Paesi stanno guardando i loro orologi e avvertono i loro leader che non rimane molto tempo. Non so se questi leader mondiali agiranno sulla base di questi avvertimenti». Secondo Peres, l'Iran potrebbe essere a soli sei mesi dal disporre di armi nucleari. Poco ore dopo, il ministro della Difesa Ehud Barak ha confermato: «Un attacco militare contro i reattori nucleari dell'Iran è sempre più vicino, giorno dopo giorno».  La certezza sul pericolo ormai vicino di un regime iraniano - che ha come scopo più volte ribadito dai suoi dirigenti di «distruggere Israele» - non è dei soli servizi di sicurezza occidentali o di quelli israeliani, ma è confermata anche dall'Aiea, l'agenzia dell'Onu che  monitora le centrali nucleari iraniane e ha verificato che vi si stanno arricchendo 70 chili di uranio oltre la soglia del 20%, operazione che esclude ogni impiego civile e che solo può mirare ad un arricchimento al 90%, funzionale solo a ordigni nucleari. Il direttore dell'Aiea Yukya Amano ha annunciato per l'8 novembre la pubblicazione di un rapporto ufficiale al riguardo che conferma l'allarme di Peres.  Le parole dei leader israeliani confermano le indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, secondo le quali  Netanyhau era riuscito a vincere le resistenze del ministro degli Esteri Liebermann e aveva infine ottenuto l'assenso della maggioranza dei membri del governo per una prossima azione militare per bombardare tutti i siti iraniani. Certo è che Israele sente con drammaticità il pericolo, ma che tenta in ogni modo di non essere costretta a eliminare la minaccia atomica iraniano da sola, come già fece nel 1980 bombardando la centrale nucleare Osirak di Saddam Hussein a Baghdad (senza quella operazione nel 1990 Saddam avrebbe invaso il Kuwait disponendo di armamento atomico). È infatti evidente che la decisione di Peres e Barak di sottrarre il dibattito sull'opzione militare alla segretezza  sinora mantenuta, come il chiaro appello ai leader mondiali perché si facciano carico della drammatica emergenza, mirano proprio a imporre alla comunità internazionale l'obbligo di assumere le proprie responsabilità e di non lasciare che Israele sia costretto ad esporsi con una azione militare che innescherebbe una guerra di cui pagherebbe da sola il costo. Per questo, sino a oggi,  i generali israeliani sono stati i più contrari all'opzione bellica contro l'Iran,  certi come sono che l'Iran reagirà attaccando a sua volta Israele. Il ministro della Difesa di Israele Matan Vilnai prevede che Teheran invierà «mille missili al giorno per un mese, senza un attimo di respiro» su Israele, mentre si teme che la Siria possa lanciare missili col gas nervino sarin e che Hezbollah e Hamas attacchino via terra.  In questo contesto si colloca il lancio del nuovo missile Jericho III testato da Gerusalemme nei giorni scorsi, in grado di raggiungere tutto il territorio iraniano e la enorme esercitazione di protezione civile di giovedì scorso che ha coinvolto tutta la popolazione nell'area del Gush Dan, dove vivono 2 milioni di israeliani che simulava l'arrivo dal cielo di armi nucleari e chimiche. di Carlo Panella

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