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Accaniti Il "direttorissimo" è sotto attacco: insultare Minzolini ora è un genere letterario

Pioggia di titoli contro il capo del Tg1, considerato un simbolo del presunto regime del Cav. Lui: "Sono perseguitato"

Costanza Signorelli
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Contestatissimo, criticatissimo, direttorissimo. Per Augusto Minzolini è superlativo pure l'odio. Sono pochi nella storia televisiva i direttori del Tg1 a cui siano stati riservati tanti improperi quanti ne riceve  Minzo. Hanno cominciato i quotidiani progressisti, con Travaglio che gli impresse il consueto Marco d'Infamia: «Minzolingua». A ruota gli altri, buono ultimo l'ex collega della Stampa e ora assaltatore di riserva di Repubblica, Curzio Maltese. Il quale non più tardi di due giorni fa ha occupato una paginata  per spiegare che la lista dei «censurati» dal telegiornale ammiraglio «non ha precedenti nel mondo occidentale». Seguivano mirabolanti sparate: «In termini economici, Minzolini costa all'azienda quanto una catastrofe nucleare». E ancora: «Con una valutazione serena e generosa si può arrivare comunque a concludere che la direzione Minzolini faccia perdere alla Rai almeno 150 milioni all'anno». Aiuto, chiamate Spiderman. Come Berlusconi - Sembrano le accuse che l'opposizione rivolge a Berlusconi: il succo è che se il Direttorissimo lasciasse viale Mazzini, il bilancio sarebbe risanato, gli ascolti d'incanto risalirebbero e il regime sarebbe finalmente sconfitto. Dunque Minzo si deve dimettere, come il suo amico Silvio. E proprio come avvenuto col Cavaliere, l'odio si trasferisce dall'edicola alla libreria. Negli ultimi mesi, infatti, abbiamo assistito alla moltiplicazione dei libri  antiminzoliniani. Si va dalla biografia scandalistica e sputtanante in stile tabloid anni Cinquanta al saggio pretenzioso sulla videocrazia imperante, fino al memoir rancorosetto.  A segnare la tendenza è stato Minzulpop del «collettivo» Hari Seldon, nato da un gruppo su Facebook. Mira in alto, il volumetto, vorrebbe essere un viaggio negli ingranaggi della «macchina del consenso» del centrodestra. Trattasi in realtà della consueta collezione di bestialità in stile Fatto quotidiano, tanto che nella presentazione campeggia l'ipse dixit di Travaglio: «Il Minzulpop è la versione moderna e farsesca del Minculpop. (...) Il Minzolini, o Minzolingua, o Scodinzolini, è una nuova maschera della commedia dell'arte, convinta di convincere gli italiani con i suoi editoriali in cui compare con la testa dorata (...) sproloquiando frasi sconnesse in cui nemmeno lui mostra di credere. Se poi riesce a persuadere qualcuno, vuol dire che quel qualcuno è addirittura peggio di lui». Insomma, Minzolini è un servo, ma chi gli dà retta è un cretino col turbo. Sull'onda del disgusto si colloca la biografia  con toni (olo)caustici di Michele De Lucia per Kaos edizioni, Se questo è un giornalista. Ravana tutta la carriera del direttorissimo in cerca di particolari infamanti, ma riesce solo a dimostrare che per la maggior parte del tempo Minzolini ha fatto   il suo mestiere: il cronista politico. Con la ferocia dell'ex, Giulio Borrelli scarica astio in Le mani sul Tg1. Da Vespa a Minzolini: l'ammiraglia Rai in guerra (Coniglio editore).  Il fastidio sta nel fatto che, per una volta, le mani sul tg sono quelle altrui. Minzo viene sbertucciato anche in La Spoon River di Arcore (Aliberti), firmato Marco Damilano, dove figura nel ruolo del servo, e in altri tomi assortiti fino al recentissimo Zero titoli di Paolo Ojetti (Editori Riuniti). Quest'ultimo presenta una interessante novità: oltre al Direttorissimo, son presi di mira anche i «Minzoliniani». Ieri il solito Fatto ne ha pubblicato l'elenco con tanto di foto segnaletiche: quando il regime di Silvio cadrà, saprete chi colpire. Scaletta sotto accusa - Mai in passato la scaletta dell'edizione delle 20 era stata così attentamente esaminata. Gli spettatori più assidui del Tg1 sono  giornalisti e intellettualoidi di sinistra. E Minzo se la ride. «Mi stupisco solo di non riconoscermi in nemmeno uno di questi libri», dice. «Io sono  coerente: un tempo mi attaccavano da un lato per come facevo il cronista politico. Ora mi attaccano dall'altro per come dirigo. Il fatto è che io non ho accetto la sudditanza culturale che ha sempre regnato nei tg. Non vedo perché avrei dovuto sottomettermi a Repubblica o ai “grandi giornali”. L'avessi fatto, adesso il 99% dell'informazione televisiva sarebbe a senso unico. Il mio Tg1 è una garanzia di pluralismo». Intanto, però, lo sbranano. «Sono motivazioni politiche. Quanto a Curzio Maltese su Repubblica... Lo conosco, ha lavorato alla Stampa. Ha sempre analizzato le notizie standone fuori, come se le vedesse alla televisione. Mi accusa di aver censurato la lettera dei “dissidenti del Pdl” che chiedevano a Berlusconi un passo indietro. Sa che le dico? Di quella lettera non si conoscevano gli estensori, quelli indicati come tali hanno smentito. Era una non notizia. Non era una lettera, ma una cosa buttata nel calderone dell'informazione come una velina. E io non lo accetto».   Dicono che c'è il regime... «Fosse vero tutto quel che scrivono i giornali, in Italia ci sarebbe una vera guerra civile. Se ci fosse il regime, io sare lodato da tutti e premiato da tutti, invece mi attaccano di continuo, sono il più perseguitato». Che sia quello su cui si accaniscono di più non c'è dubbio. Ma lui sorride ancora: «Chissà, forse un libro adesso dovrei farlo io. Ci sarebbe da divertirsi». di Francesco Borgonovo (vai al Blog)

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