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L'infermiera che rapì un neonato E' tornata a lavorare in corsia

Annarita Buonocore è stata condannta a sei anni ma dopo nove mesi è di nuovo all'ospedale Cardarelli

Lucia Esposito
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Allora, la vicenda è di quelle che fanno discutere. Riguarda quell'infermiera 43enne dell'ospedale Cardarelli di Napoli che il 7 giugno dell'anno scorso rapì un neonato da un altro ospedale, quello di Nocera. Si finse in servizio, la donna, con tanto di camice s'introdusse nel reparto di ginecologia e portò via il piccolo Luca, che nascose nel suo appartamento per qualche ora, mentre lei tornava al suo reale servizio. Questo perché  aveva detto al suo compagno - mentendo - di essere incinta, e intendeva così, in questo modo balzano, simulare il parto avvenuto. Alle due figlie, nate da un precedente matrimonio, aveva detto che quel bambino le era stato affidato da un'amica. Una finzione che, fortunatamente, era emersa nel giro di qualche ora - ore peraltro terribili per i genitori del piccolo Luca. «Ma che ho fatto di male? L'ho preso solo per coccolarlo un po'»: così aveva farfugliato agli agenti che l'arrestavano. Gli stessi genitori avevano subito avuto per lei parole in qualche modo comrpensive, «odiarla? No, anzi, la perdoniamo». In corsia  Annarita Bunocore, questo il nome della protagonista, venne processata con rito abbreviato, e condannata a sei anni di reclusione. Dopo nove mesi di cella, e in attesa del pronunciamento di secondo grado, le sono stati assegnati gli arresti domiciliari. E però, hanno accertato gli stessi magistrati, non dispone di mezzi di sostentamento. In sostanza non sa come oìpagarsi da mangiare. Ragion per cui le è stato concesso di tornare al suo lavoro d'infermiera, e sempre al Cardarelli. La conferma è arrivata dal direttore medico di presidio dello stesso ospedale: «Il rientro è avvenuto dallo scorso 16 agosto - ha spiega al Corriere del Mezzogiorno - su disposizione del magistrato la Buonocore lavora dalle ore 8 alle ore 14 e lo fa nel complesso operatorio di chirurgia generale. Viene definito un ambiente protetto, vale a dire non consente all'infermiera di stare a diretto contatto con i degenti. Lavora regolarmente e ad oggi non si è registrato alcun problema». La decisione dei giudici ha destato perplessità in qualcuno: possibile - è stato chiesto - far tornare a lavorare in ospedale una persona che proprio in quell'ambiente s'è resa responsabile del rapimento d'un bimbo? D'altronde, avendole concesso i domiciliari, è ovvio che le si debba anche dar la possibilità di guadagnarsi da mangiare, ovviamente con tutte le precauzioni del caso.  Un dibattito che, in ogni caso, si concluderà necessariamente dopo la sentenza di secondo grado. In un modo o nell'altro. di Andrea Scaglia

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