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"Non ha mai convinto nessuno" Cavaliere attacca l'euro

Silvio sulla moneta unica: attaccabile perché non è di un solo Paese ma di tanti senza governo unitario. Gelo dal Colle. Poi la correzione

Andrea Tempestini
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«L'euro non ha convinto nessuno», perché «non è la moneta di uno ma di tanti Paesi» che non hanno «un governo unitario, una banca di riferimento e delle garanzie. È strana». Parole dure, fin troppo sincere, che Silvio Berlusconi pronuncia agli stati generali del Commercio estero. Frasi  che accendono la polemica e che fanno infuriare l'inquilino del Quirinale. Tanto che il Cavaliere deve smorzare con una nota serale: «Interpretazioni maliziose, l'euro è la nostra bandiera».  Però il caso è innescato. Ed è un classico del Cavaliere quando sente odore di campagna elettorale. D'altronde Silvio sa bene che il popolo non ha mai amato la moneta unica, quei fogli multicolore hanno dato alla massa una generale sensazione di impoverimento. Non a caso Berlusconi inizia a tastare l'elettore nel suo punto più sensibile. Il punto “P”. “P” come portafoglio. Davanti agli imprenditori invitati dal vice ministro Catia Polidori, il presidente del Consiglio aveva argomentato la sua tesi in questi termini: la divisa unica è «un fenomeno mai visto, ecco perché c'è un attacco della speculazione e risulta problematico collocare i titoli del debito pubblico». In sostanza: dopo quasi dieci anni di vita l'euro continua a essere un oggetto misterioso. Individuato il responsabile della crisi economica, Berlusconi giura che il governo si sta dando da fare per uscire da questa situazione: «Ci siamo impegnati per la crescita e lo sviluppo», dice Silvio, accelerando sull'attuazione della lettera portata ieri l'altro a Bruxelles: «Dalla prossima settimana presenteremo le misure in Parlamento e mi auguro che l'opposizione si renda conto che sono provvedimenti da approvare nell'interesse dell'Italia». LETTERA-POLIZZA All'opposizione il Cavaliere replica per la vicenda dei “licenziamenti facili”. Lo fa con una lettera che sarà pubblicata oggi sul Foglio: «La polemica è figlia di una cultura ottocentesca che ignora i cambiamenti del mercato ed è oltraggiosa per l'intelligenza degli italiani». L'impegno del governo, dice, è «per la crescita e lo sviluppo», non per «deprimere l'economia e rilanciare la lotta di classe». Silvio sta pensando di riferire in Parlamento sulla lettera spedita a Barroso e Van Rompuy: «Quel piano non impegna solo il sottoscritto, ma è vincolante per il governo italiano. Anche se dovesse insediarsi un esecutivo di salvezza nazionale al posto nostro, è a quella lettera che dovrebbe far riferimento. E io voglio vedere il Pd che attua il programma scritto da noi e criticato dai sindacati», è la sfida che Berlusconi lancia a Casini, attivissimo in queste ore nel tentativo di costituire una maggioranza alternativa. Ciò spiega anche il motivo dei continui appelli del Cavaliere all'opposizione perché collabori: «Li voglio far venire allo scoperto». Insomma, secondo il premier, quella lettera approvata a Bruxelles è «la croce  su ogni velleità di larghe intese», è la polizza di sopravvivenza dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi: lui. Pier sta corteggiando i deputati della maggioranza? Berlusconi non se ne cura e nega pure l'esistenza di un “documento degli scontenti”: «È una bufala, conosco la mia gente e ne sono certo». Poi, di quel pezzo di carta, «non ce n'è traccia e non siamo riusciti a scoprire a alcun autore». In privato Silvio ci va più duro: «Ma quale coglione», domanda al suo interlocutore, «firmerebbe una lettera del genere con la legge elettorale vigente? È chiaro che i promotori di un'iniziativa del genere si condannerebbero alla non rielezione, alla morte politica...». Agli imprenditori assicura che la «maggioranza è coesa» e che «il governo andrà avanti per 18 mesi». Tremonti permettendo, però. Giulio a un ruolo subalterno non ci sta, a inizio settimana vedrà Bossi per rinsaldare l'asse del Nord e fa sapere che, ok le dichiarazioni d'intenti inserite nella lettera spedita all'Europa, ma per i dettagli e le singole misure «Berlusconi deve passare dal ministero dell'Economia», la sua competenza non può essere scavalcata. E saranno ancora scintille, questo è sicuro. LE STORIELLE Alla riunione dell'export Silvio parla delle sue scelte personali: «Sono invecchiato», ammette, «ma non diverso dai miei inizi». Gli imprenditori che vogliono impegnarsi nella cosa pubblica? «A loro dico che sono i benvenuti, ma sappiano che in politica ogni decisione presa va concordata con gli alleati». Nulla è come in azienda. Berlusconi ci tornerebbe volentieri, «ma se penso ai colleghi, agli amici, ai figli in mano a questa sinistra, sento la responsabilità di tenere duro e mandare avanti il governo». L'impegno politico gli è costato tantissimo in processi: «400 milioni per avvocati e consulenti e 600 milioni a De Benedetti fanno un miliardo». Infine un consiglio agli italiani all'estero: «Bisogna fare lezioni a tutti sulle storielle da raccontare perché una barzelletta pulisce dal pessimismo e dai pensieri tristi». Quindi Silvio riferisce una  freddura di Putin che non riscuote successo in platea: meglio le sue, di barzellette. di Salvatore Dama

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