I giudici credono a Spatuzza Liberi sei ergastolani
Si riapre il caso della strage di via D'Amelio in cui furono uccisi il giudice Borsellino e la sua scorta. Intanto le pene sono sospese
Si riapre il caso della strage di via D'Amelio che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alla scorta. Dopo diciotto anni si cerca una nuova verità. La Corte d'Appello di Catania ha creduto a Gaspare Spatuzza, il pentito che accusava Dell'Utri e Berlusconi di aver trattato con mafia dopo le stragi degli anni '90. In quella occasione venne smentito dai fatti. Adesso, invece, è stato ritenuto attendibile. Le sue dichiarazioni porteranno alla revisione del processo. Alla Corte d'Appello di Catania non è stato possibile farlo immediatamente per un cavillo procedurale. Nel frattempo, però, sono stati scarcerati sei boss che, in base alle dichiarazioni del pentito sono estranei alla strage. Sospensione della pena La storia raccontata dall'ex braccio destro dei fratelli Graviano non si concilia neanche un po' con quella di Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, piccoli malviventi e sedicenti pentiti che, secondo la Corte d'Appello di Catania hanno incastrato degli innocenti. Mesi di indagini hanno convinto il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato a chiedere alla corte d'appello di Catania un nuovo giudizio per Salvatore Profeta, Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Giuseppe Orofino e Salvatore Tomaselli. E la sospensione dell'esecuzione della pena per tutti i detenuti. Paradossalmente poi una seconda chance potrebbe toccare anche ai due falsi pentiti: Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura. Si sarebbero autoaccusati di fatti gravissimi che non avrebbero commesso, costretti da esponenti della polizia. Rivelazioni dopo 18 anni Inchiodati dalle parole di Spatuzza e dal faccia a faccia col collaboratore, hanno ammesso di aver costruito ad arte un castello di menzogne cedendo alle pressioni di alcuni funzionari del pool Falcone-Borsellino, un gruppo investigativo d'eccellenza capeggiato dall'allora questore Arnaldo La Barbera, nel frattempo morto, costituito dopo le stragi del '92. Rivelazioni arrivate a 18 anni dall'attentato costate a tre poliziotti, Salvatore La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi un'indagine per calunnia e a Scarantino e Candura l'accusa di calunnia e autocalunnia. Sulle ragioni di quello che il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, il magistrato che ha riaperto le indagini sulla strage, ha definito un «clamoroso depistaggio» il procuratore generale non entra. La sentenza analizza la verità dell'ex braccio destro dei boss di Brancaccio: dal luogo in cui si trovava, prima d'essere rubata, la 126 imbottita di tritolo usata per la strage, alla riparazione dei freni della macchina decisa da Spatuzza che si è autoaccusato del furto. Per il pentito i boss detenuti sono tutti innocenti. «Con me - dice - c'erano altre persone». I sei mafiosi hanno rivisto la libertà. di Nino Sunseri