Tutti giù dal ponte di Messina Ma l'Idv nuota nel ridicolo
Il governo approva una mozione del partito di Di Pietro che chiede la sospensione dei finanziamenti. Ma sono già stati spesi 200 milioni
Il governo ha approvato una mozione dell'Italia dei valori per la «soppressione dei finanziamenti» per realizzare il ponte sullo Stretto. Questo induce a una domanda che all'apparenza c'entra poco, ma prego, seguiteci lo stesso. Dunque. La domanda è questa: c'è qualcosa di peggio dei voltafaccia di Antonio Di Pietro? Risposta: forse sì. Seguite la cronologia. Il ponte di Messina era un sognante progetto berlusconiano dal 1994, ma questo non aveva impedito a Di Pietro di portarlo tranquillamente in Consiglio dei ministri già il 26 luglio 1996, quando lui era ai Lavori pubblici col governo Prodi. Lo aveva anche inserito tra le opere urgenti. Questo il Di Pietro uno. Nel 2001 era tornato al governo il Cavaliere, e il Di Pietro due già aveva mutato angolazione: «È un'opera mussoliniana», disse nel definire l'opera «non prioritaria». Poi, nel 2006, tornava il Di Pietro uno: il 28 giugno auspicò «una soluzione condivisa che non porti al ponte sullo Stretto né a una penalizzazione estrema». Boh. Mezzo ponte, cioè? Il 4 luglio 2006 incontrava i rappresentanti della società Ponte sullo Stretto e ne discuteva con loro. Era la stessa società che Pds e Verdi avevano già chiesto di chiudere perché in dodici anni aveva speso incredibili quantità di soldi, ma Di Pietro, bello bello, dispose un ulteriore finanziamento di circa 25 milioni di euro. E disse: «Non ho mai detto di volere il ponte, ho detto solo che bisogna completare il progetto per capire se è fattibile o no». Boh. Intervistato da Milena Gabanelli, faceva ancora più casino: «Non sono convinto che basta dire non si fa, sono convinto che se avessimo fatto tutto il resto, in Italia, anche il ponte è da discutere, perché no?». Dopodiché, per discutere del ponte, incontrò anche Salvatore Cuffaro, l'allora presidente della Regione Sicilia. I nodi vennero al pettine il 25 ottobre 2007, quando i Verdi presentarono un emendamento per sopprimere la società Ponte sullo Stretto: Di Pietro ricorse ai voti del centrodestra e la maggioranza di Prodi andò sotto. La società fu salva. Per merito di Di Pietro. La sinistra cercò di linciarlo, anche perché il programma dell'Unione, a proposito del ponte, si era riproposto «di sospendere l'iter procedurale per realizzarlo», ritenendolo «inutile e velleitario». Ma quel programma l'aveva firmato il Di Pietro due. E quello era il Di Pietro uno. Il Di Pietro due in compenso tornò a metà maggio 2009, nel pieno della campagna per le Europee: «Berlusconi rinunci alla realizzazione dell'inutile ponte di Messina», disse. In ottobre, dopo un'alluvione nel messinese, tornò alla carica: «Invece di fare la difesa del territorio vi mettete a fare il ponte sullo stretto... il governo Berlusconi è causa dell'alluvione». Le sue parole, cioè, si fecero identiche a quelle della stessa sinistra radicale che aveva turlupinato tempo prima. Morale: il ponte sullo Stretto ha fatto ammucchiare circa un quintale di documenti e ha fatto spendere almeno 200 milioni di euro in studi e progettazioni; se ne sono erano occupati trentatré governi e 234 ministri in dodici legislature. Da qui la domanda: c'è qualcosa di peggio dei voltafaccia di Antonio Di Pietro? Sì: un governo che si metta a imitarlo. di Filippo Facci