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Tensioni nella maggioranza Stallo tra Silvio e Umberto

Riforma delle pensioni, scontro nel governo. Il Consiglio dei ministri dura un'ora: lavori aggiornati a martedì. Lo scenario del governissimo

Andrea Tempestini
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Il Consiglio dei Ministri straordinario in cui si è cominciato a discutere della riforma delle pensioni che l'Europa ci impone è terminato dopo poco più di un'ora con un nulla di fatto. Tra Silvio Berlusconi e un UmbertoBossi che non vuole mettere mano alle pensioni è stallo: il Senatùr avrebbe spiegato che "servono soluzioni condivise". A Palazzo Chigi, sulla previdenza, non è stata presa alcuna decisione. All'orizzonte, hanno spiegato fonti ministeriali, ci sono nuovi incontri già martedì per cercare di sbrogliare la matassa. Il premier, nel frattempo, continua le trattative nella notte con una cena e una serie di incontri con i ministri. Gianni Letta, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, avrebbe spiegato: Non possiamo mettere a rischio la tenuta del Paese". Insomma, secondo Letta le misure sono imprescindibili e vanno messe nero su bianco al più presto. Guarda il videocommento di Filippo Facci su LiberoTv Un CdM febbrile - Un incontro tra Berlusconi e Bossi, breve, c'è stato anche poco prima dell'inizio dei lavori del Cdm. Secondo quanto si è appreso, nella riunione della maggioranza, la Lega ha ribadito il suo secco 'no' alla riforma presidenziale. Le trattative proseguiranno a oltranza. Silvio Berlusconi proverà a convincere il Senatùr con una delle sue magie, ma l'impresa appare ardua. Durante e dopo il CdM sono trapelate poche indiscrezioni. Inizialmente si riferiva di un febbrile Consiglio dei Ministri, destinato a durare fino a notte fonda: scenario smentito dal repentino termine dei lavori. Le trattative, però, non sono affatto finite, ma appena iniziate: il lavoro 'diplomatico' all'interno della maggioranza riprenderà già martedì. In questo contesto ad alta tensione c'è anche chi ipotizza uno strappo definitivo nella maggioranza che possa portare a un governo tecnico. Berlusconi, se le trattative con Bossi fallissero, potrebbe salire al Colle. I nomi più quotati per la guida di un esecutivo di emergenza sarebbero quelli del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e quello di Renato Schifani, il presidente del Senato. I presupposti - Per cercare di comprendere a fondo la situazione è necessario partire da alcuni presupposti. Punto primo: l'Europa, di fatto, ci impone la riforma delle pensioni. Silvio Berlusconi lo ha detto chiaro e tondo dopo le schermaglie di domenica con Nicolas Sarkozy. Punto secondo: il governo, nonostante le molteplici fiduce incassate, da tempo rischia. Punto terzo: Umberto Bossi e la Lega Nord si oppongono con intransigenza a una riforma del sistema previdenziale. Il questo contesto c'è una frase di Silvio Berlusconi che assume importanza decisiva: "Con Bossi dobbiamo guardarci in faccia, e deve dirmi chiaro e tondo se pensa alle elezioni anticipate. Perché se vogliamo andare avanti occorre dare subito una risposta all'Europa. A partire dalle pensioni". Questi i presupposti che hanno fatto da corice al Consiglio dei Ministri di emergenza, iniziato lunedì sera intorno alle 19.30 per terminare dopo poco più di un'ora, e che ha avuto come fulcro della discussione proprio la riforma delle pensioni. Nessuna risposta, però, per il momento è arrivata. Lo scenario - L'idea di un esecutivo di transizione, inoltre, potrebbe paradossalmente - si prenda l'espressione con le pinze... - mettere tutti d'accordo. Senza nemmeno considerare il mantra del Pd che invoca (verrebbe da dire da quasi un ventennio) le dimissioni di Berlusconi, va tenuto conto della posizione del Terzo Polo, unanime nell'apertura alla riforma delle pensioni: una maggioranza per mettere mano al sistema previdenziale - Lega esclusa -potrebbe essere costruita con i voti dei centristi e con quelli di alcune frange del Partito Democratico. Inoltre, l'ipotesi delle urne (che seguirebbero il governo tecnico, magari subito dopo la riforma delle pensioni), nonostante i proclama di Bossi e Berlusconi farebbe comodo a tutti. Al primo perché potrebbe ritrovare un briciolo d'intesa con la sua base, sventolando la sua intransigenza sul sistema previdenziale. Al secondo poiché potrebbe mettere subito mano al progetto di un nuovo Pdl, con un nuovo nome e una "generazione di quarantenni" nei posti chiave del partito. Infine, il tempo necessario a un governissimo per mettere mano alla riforma previdenziale potrebbe estinguere i margini per agire subito sulla riforma elettorale. Le liste bloccate, infatti, vengono sdegnosamente rinengate da tutti i partiti, ma per gli stessi partiti (Lega, Bossi e 'cerchisti' in primis) ripristinare le preferenze equivarrebbe a un pericoloso esame di fronte all'elettorato.

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