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Vendola e i suoi senza freni Assolvono black bloc e boss

Il leader di Sel giustifica i devastatori "figli del precariato", il suo fedelissimo Fava si scaglia contro carcere duro e il 41-bis

Giulio Bucchi
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Nonostante passi per fenomeno della comunicazione politica, da qualche giorno Nichi Vendola sta assestando mazzate micidiali alla propria immagine. Da quella pazientemente costruita di uomo di sinistra mite e poetico ancorché compagno, sta diventando quella di un Bertinotti in sedicesimo, stretto tra frequentazioni impresentabili e velleitarismi da estrema sinistra. Ad incrinare maggiormente la «narrazione» (per usare in termine d'area) del Vendola moderato e redento dagli errori del passato è la gestione del dopo-15 ottobre. Con la ricaduta nel peccato originale della sinistra radicale: ossia il non potere o volere recidere senza ambiguità i legami con le frange più estreme dei movimenti. Se già nei giorni scorsi il governatore della Puglia si era dimostrato virtuoso del distinguo, con l'intervista rilasciata ieri a Repubblica ha compiuto il salto di qualità, spiegando che tra Berlusconi e i black bloc non c'è poi tutta questa differenza e che i black bloc medesimi vanno capiti in quanto «figli del precariato» («La sinistra si faccia carico della loro rabbia», intima). Fin qui, niente di nuovo. Sinistra, ecologia e libertà (il partito di Vendola) flirta notoriamente con i movimenti, indignados inclusi, e parlare dei violenti nei termini usati dagli esponenti del partito in questa settimana fa anche parte del gioco. Il problema è quando dai black bloc si passa ai mafiosi. Come ha fatto il coordinatore di Sel Claudio Fava. Che, in un lungo intervento pubblicato dall'Unità di ieri, auspica il superamento del carcere duro per i mafiosi, il cosiddetto 41 bis. E il bello è che, a dare retta al vendoliano, l'addio al carcere duro rappresenterebbe un salto di qualità nella lotta alla mafia: si tratterebbe infatti «non di un armistizio coi mafiosi ma, al contrario, di una prova di democrazia. Che dovrebbe dimostrare a se stessa di non avere più bisogno di leggi speciali e ai mafiosi di non temerli più». La proposta, messa così, varrebbe persino la pena di essere discussa. Peccato che, alla fine, Fava sveli la cifra della propria proposta: la ripicca politica. «Ragioniamoci adesso che in Parlamento siedono deputati e ministri amici dei mafiosi», scrive il coordinatore di Sel, «se non altro per correggere questa vecchia ipocrisia italiana: fare la faccia feroce con Riina che ha molti ergastoli sulle spalle ma mostrarsi immensamente tolleranti con quei ministri che dei mafiosi furono sodali e contigui». Gran finale: «Un Paese che non riesce a processare Cosentino e Romano non può prendersi la licenza morale di imporre regimi carcerari speciali». Svelata così clamorosamente la propria strumentalità politica, la sortita del vendoliano si trasforma in un assist a porta vuota per il centrodestra: «La tesi di Fava e della sinistra è da bocciare senza esitazioni», afferma il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri, «né la coprono le pretestuose polemiche verso esponenti del centrodestra». di Marco Gorra

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