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La piazza non fa più curriculum Violenti? Bamboccioni a vita

Ai loro padri la contestazione aprì le porte di redazioni e istituzioni pubbliche. Ora serve competenza, mobilità e disciplina

Lucia Esposito
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Dei dodici ragazzi arrestati per gli scontri di sabato scorso a Roma, il giudice ne ha rilasciato solo uno; due andranno ai domiciliari e nove resteranno in carcere.  E subito da più parti - anzi, più precisamente, dalla solita parte -  è scattata la gara di solidarietà,  per dimostrare che i fermati più che delinquenti sono vittime del sistema, passanti rastrellati a caso anziché vandali.  Gli avvocati lamentano che «si vuole trovare un colpevole a tutti i costi» ma d'altronde non fanno che il loro lavoro e c'è solo da augurarsi che lo facciano fino in fondo, presentando ai rispettivi assistiti una parcella  che li dissuada per sempre dallo  scendere in piazza in cortei destinati geneticamente a degenerare. Pure papà e mamma difendono a spada tratta gli arrestati, non smentendo i più fastidiosi cliché del genitore  italiano, irresponsabile e assolutorio. Guarda il videcommento del vicedirettore di Libero Pietro Senaldi  Bamboccioni C'è chi dice che il figlio «è stato preso perché è mingherlino», chi rimpiange di «non poterlo coccolare», chi giura che  il pargolo «mai si è interessato di politica», chi afferma che «è sempre stato un ragazzo tranquillo». Il padre del «Pelliccia», il biondino immortalato prima mentre scaglia un estintore contro le forze dell'ordine in stile Carlo Giuliani e poi mentre alza il dito medio in faccia agli  agenti, sostiene che «Fabrizio non voleva far male». Mamma aggiunge che «non sa se reggerà il carcere, perché lui è fragile». Non manca neppure il video della signora che grida agli agenti «non arrestate quei quattro, facevano i bravi», e vien da sospettare che anche lei sia una parente. Interviste patetiche Poi ci sono i giornali: intervistano i violenti presentandoli come eroi moderni: la fragile determinazione della ragazza madre, la forza ribelle di chi si allena in Grecia con i black bloc e se la prende con certa sinistra che fiancheggia ma non mena, la sfortunata ingenuità  dell'indifeso minorenne schedato alla prima manifestazione, la generosa abnegazione dell'invalido che raccoglie sampietrini per chi può lanciarli. Per non parlare di chi ci mette in guardia dai rischi di una legislazione d'emergenza che preveda obbligo di cauzione per chi manifesta, arresti in flagranza in differita, l'introduzione di un nuovo reato per chi compie violenze in corteo; in sostanza,  tutte quelle norme che vorrebbe introdurre Maroni. Giustizia sommaria E qui è il secondo paradosso italiano: probabilmente in cella non ci sono finiti i più facinorosi ma  mentre in tutto il resto del mondo si griderebbe allo scandalo se dopo una settimana dalla devastazione di una città con tanto di incendio di un blindato dei carabinieri, agenti in ospedale, auto bruciate e chiese devastate in carcere ci fossero solo nove persone con la mite accusa di resistenza a pubblico ufficiale, da noi per le medesime ragioni si grida alla giustizia sommaria. Siamo al paradosso che chi non viene turbato dalle centomila intercettazioni al Cavaliere è preoccupato dalla possibilità che un giudice tenga dentro un esagitato un giorno in più del dovuto. I violenti hanno già annunciato la replica degli scontri per dopodomani in Val di Susa e la polizia non ha ancora preso chi ha assaltato il blindato dei carabinieri né chi ha distrutto Crocifissi e Madonne. Ciononostante, la sinistra solitamente giustizialista ritiene la democrazia in pericolo a causa di quei giovani in carcere e il   corteo di domenica è stato autorizzato, ritenendo il diritto a manifestare prioritario rispetto alla sicurezza nazionale.  Il diritto a indignarsi val bene la pelle di qualche agente o l'auto di qualche contribuente. Ma ad analizzare le storie dei fermati  nel dettaglio, di che cosa hanno da indignarsi poi questi ragazzi? Del Pelliccia, si sa fin troppo. A 24 anni è al primo anno di psicologia, dice di «essere in guerra anche se non so con chi», sostiene che scaraventando un estintore addosso a un poliziotto si può spengere un incendio e non riesce  neppure a scrivere correttamente il nome del suo film preferito (a farlo in difficoltà è lo spelling della città di Las Vegas). Non è colpa di Berlusconi né della casta se per lui non c'è futuro. Le banche poi, artefici della crisi, deve solo ringraziarle, visto che vive grazie allo stipendio del papà bancario. In merito a  lui non  resta che  augurarsi per il bene di tutti che non diventi mai psicologo e rassegnarsi a mantenerlo per sempre, fuori o dentro il carcere è un dettaglio.   Comici e irresponsabili Il «Pelliccia» è un comico, a far tristezza sono gli altri. Alcuni minorenni, molti appena ventenni. Loro sono giovani, se aprissero gli occhi, studiassero e girassero il mondo, il futuro non glielo fregherebbe nessuno. Hanno  davanti una realtà più complessa ma più ricca di opportunità rispetto alle generazioni precedenti.  Nessuno li ha mai illusi sul valore di una laurea in lettere, nessuno li ha mai ingabbiati nel sogno del posto fisso. Se a vent'anni sfasciano tutto perché l'Italia non è in grado di garantire loro una rendita sicura le colpe sono di chi si approfitta delle fragilità di una gioventù spaesata per perseguire i propri interessi personali e politici. Questi ventenni inconsapevoli in piazza sono una massa proletaria che i guru della sinistra, da Vendola a De Magistris, a Santoro - che giusto ieri ha accusato il Cavaliere di aver mandato al macello i poliziotti -, agli stessi leader del Pd, utilizzano per buttar giù Berlusconi e garantirsi quei posti in Parlamento che Veltroni negò e che Bersani oggi offre loro.  Gioventù bruciata Una massa senza speranze, perché mentre trent'anni fa le piazze rosse potevano anche rivelarsi un grande ufficio di collocamento, oggi non sono che l'anticamera di una vita ai margini. Per i loro padri un'esperienza da contestatori faceva curriculum, il centro sociale garantiva conoscenze ricche e prestigiose, un campo tra le tute nere in Grecia poteva valere quanto uno stage all'estero, Woodstock equivaleva a un master, un arresto  apriva le porte di redazioni, carriere politiche, poltrone pubbliche. Ma oggi non è più così: a cinesi, russi, americani e brasiliani non importa nulla della militanza rossa dei nostri giovani: il futuro richiede competenza, mobilità e disciplina.   I papà ancora non l'hanno capito, e si coccolano i figli bamboccioni nell'irrazionale speranza che un giorno siano baciati dalla fortuna che hanno avuto loro. La sinistra, estrema e non, lo sa benissimo, ma se ne frega e pensa solo al proprio interesse di oggi: teniamo alti  quattro slogan e due bandiere, prendiamo in giro centinaia di giovani e tiriamo a campare fino alla pensione, che per noi tanto ci sarà. Ma se è questo l'esempio, se è questo il senso delle istituzioni e del Paese di chi fa opposizione in politica, che cosa vogliamo in fondo rimproverare ai ragazzi che nel 2011  bruciano  la loro gioventù dietro a bandiere rosse e leader sessantenni? Forse faremmo davvero meglio a liberarli tutti; e a metter dentro qualcun altro. di Pietro Senaldi

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