Riesumare la Dc? Non serve Ce ne sono già altre due
Oltre all'Udc, anche il Pdl ha ereditato i tutti i difetti della Balena Bianca. E anche Pd e lega sono sempre più democristiani
Mettersi a discutere se a questo disastrato paese serva la restaurazione d'un partito cattolico, già liquidato dalla storia nell'ultimo decennio del secolo scorso, è un intelligente quanto vano esercizio. La Dc non è mai morta; anzi, ne esistono almeno due, esplicita quella guidata da Casini, dissimulata l'altra nel multiforme contenitore del Pdl (senza contare il crescente indemocristianamento di Pd e Lega). Non c'è alcun bisogno di aggiungerne una terza, che altro non sarebbe se non un ulteriore doppione dell'esistente. Il tratto distintivo della Democrazia cristiana non era l'ispirazione confessionale. La Chiesa per prima non confuse mai l'associazionismo cattolico con il partito, alla cui costituzione lo stesso Pio XII aveva opposto fondati dubbi. L'esser democristiani consisteva nel condividere un metodo, un modo d'intendere la cosa pubblica e la sua gestione; valori e dottrina erano lontana premessa alla pratica del potere. Quale fosse abbiamo avuto modo di constatarlo per decenni: un'attitudine compromissoria e spartitoria che nella lunga stagione della decadenza determinò la fragilità dei governi, il proliferare delle clientele, la riduzione dello Stato a self service per la spesa pubblica, l'intrusione della mano pubblica in ogni ambito della vita nazionale, i localismi, il disprezzo per gli elettori. Non erano queste le intenzioni di coloro che nel 1942, a casa Falck, promossero un nuovo impegno dei cattolici, senza però confondere fede e politica. Forgiarono una classe dirigente che guidò la ricostruzione e pose le premesse per lo sviluppo economico, il boom degli anni Cinquanta-Sessanta. Esaurito lo slancio propulsivo, vennero a galla le contraddizioni irrisolte, a cominciare dall'antico conflitto tra Chiesa e Stato, soltanto in parte ricomposto. La Dc, nel frattempo, si era trasformata da partito in sistema, pervasivo e incapacitante: le correnti, i congressi, l'ordalia delle tessere, il sottogoverno più bieco. Riuscì a perpetuare se stessa fino allo sfinimento. Se ancora avesse posseduto un minimo d'energia vitale, non si sarebbe dissolta in poche settimane, come invece accadde all'indomani di Mani pulite. Nel 1994 Berlusconi convinse la maggioranza degli italiani con un paradosso, e cioè che soltanto un impolitico, quale affermava di essere, avrebbe potuto guidare la politica. Detestava a tal punto la parola “partito” che non la volle nel nome del proprio, Forza Italia, concepito come un comitato elettorale, leggero, leggerissimo, senza il peso degli apparati. Il suo progetto era di sostituirsi al defunto pentapartito, di cui arruolò gli scampati, che continuarono, per vocazione e formazione, a indulgere nei vecchi giochi. Oggi il Pdl somiglia pericolosamente all'ultima Dc. Ne ha raccolto l'eredità, assimilandone i vizi. Alla vigilia del primo congresso si presenta come una maionese sul punto d'impazzire, una federazione di mediocri notabili in conflitto perenne, non per un'idea ma per un posto. La vera sconfitta di Berlusconi consiste proprio nel non essere riuscito a superare il teatrino della politica, che disprezza pur essendone l'impresario. È suo malgrado un democristiano. Casini non fa di meglio: con la sua Dc formato mignon non ha rinunciato alla prospettiva morotea di rinnovare un qualche compromesso storico (che non dispiacerebbe neppure agli Scajola e ai Pisanu). Forse la Dc è l'autobiografia degli italiani e non c'è modo di farne a meno. Benissimo il richiamo ai valori, per chi crede, e al pensiero sociale della Chiesa, magistralmente rinnovato da Benetto XVI nella Caritas in veritate, ma se non si individua la forma politica in cui calare l'uno e gli altri saremo sempre daccapo. Prima il partito, i cattolici seguiranno. di Renato Besana