L'imam che odiava la Fallaci razzola male: è evasore fiscale
Predica bene ma la Finanza scopre due milioni di euro di evaso. Il marocchino guidà la comunità di Colle Val d'Elsa
Predicava il Corano, ma poi razzolava male l'ex imam della Val d'Elsa, un imprenditore marocchino di 41 anni residente a Castelfiorentino. La guardia di finanza lo ha denunciato per aver sottratto al fisco due milioni di euro e lo ha accusato dei reati di omessa dichiarazione, occultamento di scritture contabili ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. L'aveva sempre detto Oriana Fallaci che la moschea di Colle Val d'Elsa non s'aveva da fare. Aveva invocato retoricamente l'aiuto degli anarchici di Carrara, esperti di esplosivi, come mezzo estremo per evitarne la costruzione. LA MOSCHEA IN NERO Anche senza il ricorso alla violenza, il cantiere risulta fermo da qualche anno. Uno tra i principali fautori del progetto, l'ex imam Feras Jabareen, palestinese con cittadinanza israeliana, è tornato in patria da diverso tempo, abbandonando l'opera a se stessa. Anche i suoi confratelli sembra siano rimasti a corto di quattrini. Allo scopo di procurarsi il denaro necessario, la fantasia dei musulmani devoti galoppa ed escogita un sistema per stornare, a favore dell'islam, gli importi dovuti alle casse dello Stato. Per ora, l'operazione non è riuscita, perché i proventi dell'attività erano ancora ben custoditi dall'imprenditore su otto conti bancari accesi in sette banche diverse, sui quali erano finiti incassi per un milione e 900mila euro in tre anni, mai contabilizzati.Ma ora occorrerà porsi qualche domanda aggiuntiva sulla reale destinazione dei fondi generosamente stanziati dalle banche locali e dalle amministrazioni pubbliche a favore dell'edificio di culto islamico della provincia di Siena.Certo, se la sua gestione finanziaria fosse stata affidata all'ex imam, imporre criteri di trasparenza e di legalità ai bilanci della comunità religiosa sarebbe stata un'ulteriore sfida culturale. Rendicontazione, provenienza dei finanziamenti, ma soprattutto le imposte sembravano dettagli di relativa importanza per l'imprenditore, che si occupava di ristrutturazioni di abitazioni e intermediazioni nella vendita di immobili a favore dei propri connazionali. Per rimediare le commissioni, sempre stando alla ricostruzione delle Fiamme gialle, l'uomo faceva fruttare il suo ruolo all'interno della comunità islamica, soprattutto tra i nordafricani, in pratica monopolizzando tutti i lavori.Tutto si svolgeva all'oscuro dell'agenzia delle Entrate a cui sarebbero stati sottratti, almeno tra il 2007 e il 2009, Iva e Irap non versate per oltre 180mila euro. A dire il vero, i finanzieri sono riusciti a scovare anche un singolo documento fiscale, ma si trattava di una fattura, ritenuta falsa, dell'ammontare di 132mila euro, contabilizzata da una società immobiliare di Castelfiorentino il cui titolare è stato denunciato. Tranne la documentazione extracontabile trovata nella sede dell'imprenditore marocchino, e grazie alla quale è stato possibile ricostruire il volume d'affari della ditta, il resto del business si svolgeva tutto “in nero”. Nonostante i conti a sei zeri, comunque l'ex imam si dichiarava povero e bisognoso dell'assistenza pubblica. Così lo scorso anno, aveva richiesto ed era riuscito a ottenere dall'Inps l'assegno di maternità per la moglie ricevendo 1.556 euro dopo la nascita della figlia. IL PARASSITA SOCIALE L'imprenditore aveva infatti presentato una dichiarazione sostitutiva unica, idonea per attestare l'Isee, l'Indicatore della situazione economica equivalente, che per l'anno 2009 aveva evidenziato un reddito di soli 25.430 euro. Gli accertamenti, in realtà, hanno fatto emergere che in quell'anno l'uomo aveva percepito 669mila euro, ben oltre il limite previsto per beneficiare dell'assegno di maternità che è di 32.440 euro. Il fatto è stato segnalato al Comune per recuperare la somma illecitamente percepita dalla donna. All'imprenditore marocchino sono stati sequestrati un appartamento e un terreno per un valore complessivo di mercato pari a 141mila e 500 euro. Lui, in realtà pensava di poter sistemare il pasticcio a modo suo. Raggiunto dall'accertamento, si sarebbe rivolto ai militari dicendo loro: «Nel mio paese avrei dato un po' di soldi al giudice, a titolo personale, e tutto si sarebbe risolto». di Andrea Morigi