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De Benedetti fa l'indignato: "Ricchezza per pochi". Per lui

L'ingegnere si arrabbia: "Per la finanza la festa è finita". Peccato che la sua fortuna sia frutto di giochi spericolati

Giulio Bucchi
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Indignato fra gli indignati. Magari poco disposto a scendere in piazza, vista la presenza a Roma di  «200 idioti e criminali», ma apertamente schierato con chi rilancia l'idea della «lotta di classe, ribattezzata «ingiustizia sociale». E così  mentre si ragiona su come agire nei confronti dei violenti che hanno devastato la Capitale, Carlo De Benedetti, presidente onorario di Cir e del gruppo editoriale L'Espresso, lancia la crociata contro le «inefficienze dell'economia». «Aver permesso che si generasse un'economia di carta», ha detto De Benedetti parlando alla Banca Popolare di Sondrio, «il cui valore è stimato in sette volte quello dell'economia reale, aver ideato e consentito strumenti finanziari in grado di moltiplicare sul nulla il valore dei beni è stato qualcosa da irresponsabili». Una bocciatura, quella del presidente del gruppo editoriale che finanzia Repubblica, che però sbatte con la sua carriera: con la finanza ci ha campato per decenni, portando a casa centinaia di milioni. Se l'Ingegnere è uno degli uomini più ricchi d'Italia lo deve proprio a operazioni finanziarie. In alcuni casi spregiudicate. Come, negli anni '80,  l'ingresso e la quasi immediata fuoriuscita dal Banco Ambrosiano con relativa maxi plusvalenza. Che gli costerà un processo dal quale è uscito pulito. Per non parlare di altre plusvalenze legate alla Fiat e altre grandi aziende. Ma visto che il tema è la rinnovata lotta di classe, De Benedetti coglie l'occasione per attaccare Berlusconi e la sua politica. «In Italia, sempre nel 2011, il 10% delle famiglie più ricche detiene il 45% della ricchezza complessiva», sostiene il presidente di Cir, «negli ultimi 10 anni, mentre il reddito pro capite italiano scendeva dal 117% del reddito medio europeo al 100 %, l'indice di diseguaglianza è salito dal 4,8 al 5,5: cioè, il 20% di italiani più ricchi dispone di un reddito 5,5 volte più elevato di quello del 20% dei più poveri». Numeri, cifre, percentuali  sulle quali De Benedetti costruisce la sua verità: «A pagare sono soprattutto le famiglie con figli e, ancora una volta, i giovani: uno su due non trova una occupazione e uno su quattro né studia e né lavora. Servirebbe la responsabilità di capire che davvero la festa, per una certa finanza, è finita».  E siccome è finita per tutti De Benedetti si chiede «dov'è finita la politica», soprattutto quella «di sinistra nata e cresciuta sulla questione sociale». E allora manifestare è giusto: «In fondo i ragazzi che protestano, quelli che ragionano non i criminali che tirano pietre, chiedono nient'altro che sottrarsi a questo destino di declino. Perché la politica non prova davvero ad ascoltare, se non le soluzioni proposte, almeno le istanze?». Dato il contesto De Benedetti lancia due proposte. Prima  occorre «spostare il peso della tassazione dai redditi e dagli investimenti alla proprietà» e poi introdurre «una tassazione»  sulle transazioni finanziarie internazionali, anche se «con grande attenzione». di Enrico Paoli

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