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Incoerenti A Milano il colpo basso di Pisapia vuole assumere gli amici: caccia 29 precari

Il sindaco spiega: troppe spese per i consulenti. E così la giunta risparmia tagliando gli impiegati

Andrea Tempestini
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I soldi per gli stipendi sono davvero finiti, ma questa volta non per colpa della Finanziaria di Tremonti o della crisi economica mondiale. Li ha finiti la premiata ditta Pisapia assumendo a più riprese addetti stampa e collaboratori di stretta osservanza Pd. Come? E' presto detto: nel 2009 il Comune di Milano indice un concorso per funzionari a graduatoria aperta. Il che significa assunzioni a seconda delle esigenze effettive di ciascun settore. Se manca un funzionario al settore viabilità ecco che il Comune di Milano pesca nella graduatoria del concorso e lo assume. Assunzione a tempo determinato, ma comunque assunzione. Nessuna pressione politica né delibera di giunta. Si partecipa al concorso, circa un migliaio i partecipanti, e se si superano le due prove, scritta e orale, si passa. E passano in ventinove, distribuiti in quasi tutti i settori comunali. Molti di loro finiscono a lavorare sulle pratiche del Difensore Civico, ufficio chiuso dal Sindaco Moratti agli inizi del 2010, altri invece sono destinati a seguire le gare e gli appalti oltre ai numerosi cantieri che caratterizzano Milano. Si tratta di pura e semplice attività amministrativa, fatta di determine dirigenziali e contratti senza i quali l'ordinaria amministrazione della città entrerebbe nel caos. Lo stipendio mensile è di millecinquecento euro circa a cui, in alcuni casi, si sommano un due/trecento euro in più per gli straordinari. Niente di sconvolgente diciamo. Eppure questi ventinove funzionari hanno visto trasformare il loro concorso in un calvario. Dopo essere stati assunti per un anno, nel 2010, e rinnovati per sei mesi, quest'anno, sono stati gentilmente invitati a pazientare qualche settimana affinché la Direzione Centrale del Personale potesse richiamarli agli inizi di luglio dopo che i nuovi padroni di casa, la premiata ditta Pisapia, avessero preso confidenza con la macchina amministrativa. «C'è da pazientare quindici giorni circa poi vi richiameremo tutti», questa la frase più ricorrente che, uno a uno, i funzionari si sentono ripetere. I direttori di settore e i direttori centrali sollecitano da parte loro la riconferma dei loro funzionari. Ma poi i nostri «ventinove» incominciano a leggere sui giornali delle assunzioni, a blocchi di sei circa alla settimana, che la giunta di Pisapia procede senza sosta per sistemare addetti stampa con contratti da contabili e supporter elettorali nelle segreteria degli assessori. Tutti rigorosamente assunti come istruttori amministrativi, stesso profilo dei nostri «ventinove». Il sospetto cresce fino a diventare certezza. Nessuno li vuole più. Evidentemente bisognava far spazio ad altri. E il fondo da cui il Comune di Milano attinge per le assunzioni a tempo determinato è sempre lo stesso – basta andarsi a leggere la Deliberazione 43/2007 della Corte dei Conti Lombardia - sia che si tratti di concorsi pubblici sia che rientri nella categoria degli articolo 90 del decreto legislativo 267/2000, i cosiddetti ufficio di staff dell'organo politico.  Non ci sono margini per ampliare la capacità di spesa del Comune di Milano e quindi i «precari» sono i primi a farne le spese. Quelle «risorse interne da valorizzare» di cui il direttore generale del Comune di Milano ha parlato a spron battuto nei suoi videomessaggi sono evidentemente quelli assunti con delibera di giunta e non con regolare concorso pubblico per titoli ed esami. Palazzo Marino ha assunto ad oggi quarantatre collaboratori esterni che costano alle apparentemente vuote casse comunali la bellezza di 2,2 milioni di euro all'anno. Non c'è bisogno di scomodare San Precario: Pisapia non ha tenuto minimamente conto delle risorse interne che erano già a disposizione dell'amministrazione. La giunta non ha svolto nessuna indagine conoscitiva, nessun colloquio fra i quindici mila dipendenti a tempo indeterminato e fra le centinaia di precari che da anni garantiscono la copertura dei servizi. Se il diritto al lavoro non ha colore politico, l'ipocrisia e il clientelismo assumono a Milano le fattezze del sindaco e della sua giunta. di Bruno Baso

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