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L'alleanza salva-tutti: Casini col Cav

Berlusconi prepara le elezioni a marzo per evitare il referendum: Bossi lo aiuterà. Ma se riscrivesse la legge con Casini, Fini e Rutelli?

Andrea Tempestini
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Ieri è stato il giorno dell'orgoglio. Berlusconi ha deriso «l'opposizione allo sbando» e si è vantato di «aver sventato un golpe burocratico». Nell'euforia ha pure sbagliato la data dell'Aventino, posponendola di cinque anni (l'ha datata 1929, anno simbolo della crisi, anziché 1924). Ma cosa se ne farà Silvio della cinquantunesima fiducia ottenuta due giorni fa? Il pensiero più diffuso è che la utilizzerà per rimanere in sella fino a fine anno, quando causa tempi tecnici l'ipotesi di un governo istituzionale sostenuto da sinistra e Terzo Polo  sarà definitivamente scongiurata, e per prepararsi al voto anticipato, nella primavera del 2012. A convincerlo che forse è meglio cadere è il referendum contro l'attuale legge elettorale, che la gran parte degli italiani non sopporta più. Se si tenesse, la consultazione si concluderebbe con ogni probabilità con una schiacciante vittoria dei “sì”,  verrebbe interpretata come un plebiscito contro il Cavaliere, darebbe coraggio e forza alle sinistre e metterebbe le ali ai piedi a Casini, Rutelli e tutti gli aspiranti terzopolisti, da Montezemolo a Profumo, che sarebbero spinti a uscire dalla penombra e scendere in campo. Guarda il videocommento del vicedirettore di Libero, Pietro Senaldi: "Casini aspetta soltanto un cenno" Berlusconi si troverebbe a quel punto ad affrontare il voto  in condizioni disperate, e per di più con una legge elettorale nuova, fatta da altri, senza più la possibilità di scegliersi i candidati e probabilmente costruita per premiare i suoi rivali. Quando Fini dice che si andrà alle urne a marzo, e che sarà Bossi a far cadere Silvio ha quindi ragione, anche se omette di dire che il Senatur lo farà con la complicità e non contro il Cavaliere, che ha capito che far passare un altro anno così lo logorerebbe irrimediabilmente. Anche all'Umberto conviene infatti votare presto, quando ha ancora in mano il partito, in modo da scegliere i candidati e far piazza pulita dei nemici interni; tra un anno Maroni  -  che non a caso vorrebbe si votasse nel 2013 - avrà preso troppo potere. A Bossi, che l'ha pure detto («Si va a votare quando decido io») serve solo il pretesto giusto per aprire la crisi, magari uno che gli permetta di riscaldare i cuori degli elettori padani, da un po' di tempo molto tiepidi nei confronti dello storico leader. Il piano d'inverno è tirare avanti correndo meno rischi possibili. Le grandi riforme - giustizia, fisco, intercettazioni - saranno probabilmente accantonate per non scaldare l'opinione pubblica ed evitare al governo imboscate. Decreto sviluppo, Finanziaria, legge sul pareggio di bilancio si faranno cercando di correre meno rischi possibili,  scontentando gli scontentabili e avendo riguardo per chi può far male, e cercando di dare pubblicità e rilievo massimi a provvedimenti comunque non decisivi. Ma la testa è già a primavera. Al voto il Terzo Polo si presenterà solo, avrà un buon risultato ma sarà fortemente penalizzato dal sistema elettorale. La sinistra si troverà suo malgrado costretta a candidare Bersani, vincitore delle Amministrative 2011 e fortuito beneficiario del suicidio del governo ma dovrà subire una dura offensiva da Vendola sul fronte primarie. È proprio la paura che l'elettorato italiano ha di Nichi e di tutto quello che rappresenta a tenere in gioco il centrodestra, che rischia seriamente la sconfitta ma potrebbe anche vincere. Specie se Berlusconi non si ricandida. Il Cavaliere lo sa, è per la prima volta conscio di non essere più così popolare, ma per lui quello indietro è un passo dolorosissimo al quale si risolverà solo se maturerà la certezza che altrimenti la partita sarebbe persa in partenza. Nel qual caso toccherà ad Alfano puntare a Palazzo Chigi; se non spunterà una candidatura esterna al Pdl, dalla società civile. Il nome non sarebbe ancora stato individuato ma l'ipotesi non è del tutto improbabile, visto che gli esperti del Cavaliere sostengono con insistenza che così si avrebbero maggiori possibilità di vittoria. Ma c'è un altro scenario, difficile quanto suggestivo. Casini, Rutelli e Fini non aspettano altro che un cenno dal Cavaliere. Hanno fatto della caduta di Silvio una ragione elettorale,  quasi di vita politica, ma hanno detto più volte che con Alfano o altri si può trattare ed è più che evidente che a sinistra non hanno nessuna intenzione di andare. Casini perché l'avrebbe già fatto, Rutelli perché lo aspettano con i forconi e Fini perché, al di là di tutto, non è cosa sua né loro. I tre vorrebbero sedersi al tavolo con Berlusconi e il suo successore designato e scrivere una legge elettorale che riveda il bipolarismo e consenta loro dopo le elezioni del 2013 di presentarsi al Pdl o a quel che sarà del centrodestra come partner di pari dignità, per un'alleanza di governo sul modello inglese Cameron-Clegg. Dietro di loro hanno i poteri forti,  la finanza, la borghesia industriale che non ha mai digerito il Cavaliere ma non ne può più di Cgil, magistratura politicizzata e mantenuti di Stato ed è terrorizzata dal ripetersi di un'esperienza modello Ulivo, per di più con le aggravanti  Vendola, De Magistris, Di Pietro e in un clima da contestazioni di piazza di cui ieri a Roma si è avuto un preoccupante assaggio. Silvio non si fida di nessuno dei tre, e ancor meno si fida di Montezemolo e di quanti altri li sostengano, ma dialogare con loro potrebbe anche essere la chance più grande per Berlusconi di sopravvivere a se stesso. di Pietro Senaldi

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