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Premiati I 'salvatori' diventano vice ministri Ma sciaboletta Scajola mugugna ancora

Tregua armata. Polidori e Misiti promossi. Galassi diventa sottosegretario. L'ex ministro tratta sul dl sviluppo e chiede di allargare la maggioranza

Andrea Tempestini
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«Adesso bisogna costruire. E allargare per vincere». Il governo ha appena incassato la nuova fiducia e Claudio Scajola, il leader della componente interna del Pdl che ha dato più filo da torcere a Silvio Berlusconi nelle ultime settimane, mentre lascia Montecitorio annuncia che niente è risolto. «Dopo la fiducia, c'è bisogno di fare un grande cambiamento. Altrimenti questi casi si moltiplicheranno e andremo a sbattere», avverte l'ex ministro dello Sviluppo economico con la mente ai parlamentari della maggioranza che hanno disertato il voto (in primis i “suoi” Giustina Destro e Fabio Gava, prossimi all'approdo nel gruppo misto). «Sono portatori di istanze di grande cambiamento», aggiunge Scajola riferendosi ai due deputati ribelli, che tuttavia da ieri sono sfuggiti al suo controllo. Quel cambiamento che per Gava significa soprattutto «allargamento della maggioranza. È quello che pensa anche Scajola». Ma lo stesso Scajola sa anche bene che, almeno finché Silvio Berlusconi resta in sella, estendere il perimetro della coalizione all'Udc è praticamente impossibile vista la condizione posta da Pier Ferdinando Casini per l'avvio del dialogo: il passo indietro del Cavaliere. Da qui l'interrogativo che si pongono in queste ore nel Pdl: nelle prossime settimane fin dove si spingerà l'ex ministro, ma non solo, nel chiedere quel «segno di discontinuità» vagheggiato prima del voto? Ieri, intanto, sulla stessa lunghezza d'onda ci si è messo anche il ciellino Mario Mauro, capodelegazione del Pdl a Strasburgo: «Dobbiamo morire berlusconiani? Occorre mettere da parte i personalismi e promuovere in questi mesi la riconciliazione e il confronto tra tutti coloro che sono separati in Italia e uniti in Europa sotto le insegne del Ppe». Ma se questo vuol dire sostituire Berlusconi, al di là della mano tesa del segretario Angelino Alfano ai ribelli («Scajola? Lo ascolteremo»), nel Pdl non sono disposti a trattare. «Questo non è il momento di alzare steccati e prezzi chiedendo passi indietro al presidente del consiglio», mette le mani avanti Osvaldo Napoli, uno dei vicecapogruppo alla Camera. Ne consegue che o il negoziato con i ribelli vicini a Scajola verte sui «contenuti», ad esempio sul “decreto sviluppo” atteso al varo la prossima settimana, oppure il rischio di provocare una collisione resta alto anche dopo la fiducia incassata. «Se Scajola vuole rompere, insisterà sul passo indietro di Berlusconi, se non vuole farlo ci spronerà a confrontarci sui contenuti», tira le somme Napoli. E qui entra in gioco il provvedimento sullo sviluppo, probabilmente l'ultima carta in mano al Cavaliere per invertire la rotta. Anche sul fronte interno. «Il problema è tutto lì. Per stoppare i mal di pancia, il provvedimento dovrà essere convincente e rispondente alle attese create», ammette il vicecapogruppo a Montecitorio. Anche perché la prossima settimana i banchi di prova per testare la fedeltà dei frondisti non mancheranno. Alla Camera, infatti, si aprirà la discussione sulla riforma dell'articolo 41 della Costituzione, quello sulla libertà economica, ed è probabile che passate le forche caudine della fiducia il governo torni a pigiare il piede sul pedale dell'acceleratore per quanto riguarda le intercettazioni. E quale migliore occasione, per i malpancisti, per tornare a farsi sentire? «Io d'ora in poi temo ogni voto, ma questi due in particolare», confida Giorgio Stracquadanio, che pure con l'esecutivo non è stato tenero al tempo della discussione sulla manovra di Giulio Tremonti. «Siamo ancora sotto esame e i nodi non sono stati sciolti», avverte. E se è vero che in molti nel Pdl sostengono che alla fine Scajola si sia rimesso in carreggiata soprattutto per i numeri non esaltanti della sua componente («non arriva a dieci deputati...»), in questo momento anche una defezione di una mezza dozzina di uomini può risultare fatale per la sopravvivenza dell'esecutivo. E con l'intento di blindare la maggioranza, ieri il consiglio dei ministri ha approvato quattro nuove nomine: da sottosegretari, l'ex finiana Catia Polidori e l'ex dipietrista Aurelio Misiti diventano viceministri di Sviluppo economico e Infrastrutture. Entrano nel governo anche i pdl Giuseppe Galati (sottosegretario all'Istruzione) e Guido Viceconte (all'Interno). Promozioni che oltre a mandare su tutte le furie l'opposizione, che con il leader del Pd Pier Luigi Bersani parla di «scandalo, è un banco al mercato di Porta Portese», non convincono neanche in maggioranza. «È una scelta difficilmente difendibile sul piano politico», si smarca Enrico Costa (Pdl). E così la penserebbero in molti. di Tommaso Montesano

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