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Sarkozy ha le braccina corte: non paga 4 caffè al bar

Nuovo stile di vita per il presidente francese: diventa uno scroccone. Con un padre così, il bebè non andrà certo in crisi

Costanza Signorelli
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Mai farsi offrire un caffè dal re di Francia. Lungo di sguardo e corto di braccio, col peso dell'intiera nazione sul groppone, monsieur Nicolas Sarkozy entrò, un umido martedì d'ottobre, nel bar di monsieur Bruno Durand, nel centro di La Villetelle nel Dipartimento di Limousin. Le president, si palesò avvolto da un cordone sanitario di una decina di persone. Si poggiò sul bancone con le braccine della giacca che si ritiravano sui gemelli e  basculò a trequarti nel crocchio d'avventori che gli si stava formando attorno. Pensieri foschi gli attraversavano lo sguardo. Le primarie socialiste, le trincee della guerra di Libia, Henry Bernard Levy che se ne andava per i cazzi suoi tra i ribelli della primavera araba, la crisi economica che aveva spinto la puerpera Carlà a sospirare: «É dura fare figli, oggiorno...». Durissima, perbacco. Pensieri, pensieri, pensieri: i pensieri son sempre troppi, per chi vede scorrere le disavventure della Francia tra le mani e sul gessato. Fu così che Sarkò, ordinando quattro caffè, e confuso nell'analisi finanziaria della tempesta europea e nel ricordo dei propri successi politici -tra cui l'abbassamento dell'Iva al 5,5% per il settore ristorazione-, ingollò il caffè. E girò all'improvviso i tacchi come un ussaro dopo il “rompete le righe”. E uscì dal locale. Senza passare dalla cassa. A dire il vero non pagarono neppure le guardie del corpo, quell'addition di 6, 60 euro persi nella dialettica del credit crunch e nella disamina dei benefici di un'austerity presidenziale assai vicina ai bisogni del popolo. Sensibile alla necessità del risparmio e dei tagli alla spesa pubblica, le President aveva cominciato a risparmiare sulla spesa propria. Facile fare i degustatori di caffè con le tazzine degli altri. «Nessun problema» commentò monsieur Durand «c'era talmente tanta gente che capisco la dimenticanza». Ma il barista aveva lo sguardo opaco da capro espiatorio perfetto, l'espressione pietosa del Benjamin Malaussène dei racconti di Daniel Pennac. Ora in quest'aneddoto, accaduto l'11 ottobre ma che soltanto oggi costella le pagine dei giornali d'Oltralpe s'intravvedono le varie anime dell'uomo pubblico. E una sorta di lieve percorso psicanalitico. Andarsene senza pagare il conto può essere: a) la spia d'una mente distratta, un gesto d'arroganza alla re Sole (ma almeno Maria Antonietta offriva al popolo, gratis, le brioche...); b) un modo bizzarro per mostrare il proprio disappunto verso una miscela arabica non gradito (improbabile); c) il metodo freudiano e infallibile per scaricare i problemi dei più forti sulle spalle dei più deboli (possibilissimo). In Italia il credito al bancone ha tradizioni antiche. A Napoli, per dire, il “caffè pagato” che consente all'avventore occasionale di fruire della magnanimità del predecessore è un atto cavalleresco. Però devi avere qualcuno che, sulla fiducia da gentiluomo, paghi per te. Qua, nel caso di Sarkò, si tratta evidentemente di una nuova consuetudine cavalleresca: il caffè pagato coatto. Laddove l'aggettivo “coatto” ha valenza semantica allotria, nel doppio significato sia di “costrizione” sia di “cafonaggine”. Trattasi di scrocconaggio, in soldoni, seppur per nobili motivi. Durissima crescere un figlio in questi tempi di crisi, afferma Carlà, con la quale le President aveva trascorso la sera precedente in un ristorantino assai à la page e costosetto anzichenò. Qui la miglior figura, come al solito, l'ha fatta il popolo, con monsieur Durand il barista che probabilmente non aveva mai votato gaullista in vita sua e che si ritrova magnanimo cancellatore di gaffes. A patto che però, mon cher le President, non diventi un'abitudine... di Francesco Specchia

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