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Silvio non muore mai: 316 sì

Prima il panico, poi il giallo infine la vittoria: governo salvo a Montecitorio, 301 voti contrari. Berlusconi: "Il Pd ha fatto una figuraccia"

Lucia Esposito
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Il governo Berlusconi è salvo: la Camera ha votato la fiducia con 316 sì, 301 i voti contrari. Le cifre non sono altro che la testimonianza numerica di una mattinata di panico. La sicurezza ostentata fino a qualche ora prima del voto sembrava vacillare. Il punto è che le previsioni dicevano che il governo avrebbe potuto andare sotto di un voto. Subito dopo che è cominciata a girare la voce, però, il Pdl ha fatto sapere che "il voto di fiducia passerà con 317 voti. I calcoli sono sicuri", avevano spiegato fonti autorevoli. La prima chiama si era conclusa con 315 sì e 7 no. Il limite minimo richiesto anche da Ignazio La Russa per non obbligare il premier a salire al Colle. Decisivo il ruolo dei radicali, che hanno rotto con il Pd e hanno contribuito a salvare Berlusconi. Non a caso, quando Lupi al termine della prima conta ha chiesto alla Bindi di rientrare perché "i voti sono voti", Rosy ha risposto stizzita: "E gli stronzi sono stronzi, galleggiano anche senz'acqua". Riferimento poco cortese ai pannelliani? Il premier, la persona su cui si è votato, è sempre stata ottimista: "Sono sereno", ha tagliato corto con i cronisti che lo incalzavano a Montecitorio. Il governo sarà ancora in carica? "Penso di sì, anzi intimamente ne sono convinto". Ma intanto proseguiva il giallo. In precedenza Luciano Sardelli, di Popolo e Territorio, dopo l'incontro alla Camera con Berlusconi aveva annunciato: "Non parteciperò al voto di fiducia" (scelta che lo ha posto in netta contrapposizione all'eroe stampellato, Filippo Ascierto). Claudio Scajola, al contrario, si era riallnieato negli ultimi minuti e fià nel corso della prima chiama ha votato la fiducia al governo. Ma ora Berlusconi è atteso da altri sei agguati Il numero legale - La tensione sui numeri si rifletteva anche su un altro aspetto della votazione. L'opposizione, infatti, non votando sperava che a Montecitorio non si raggiungesse il numero legale. Di fatto, in questo modo il voto sarebbe stato annullato e avrebbe dovuto essere calendarizzata una nuova fiducia. L'opposizione, così, avrebbe potuto cavalcare una nuova paralisi del parlamento per chiedere le dimissioni del governo. Secondo l'Idv il governo sarebbe stato da considerarsi de facto già caduto. Inoltre Berlusconi sarebbe stato costretto a riferire a Napolitano, e le opposizioni confidavano nel fatto che il Capo dello Stato facesse moral suasion sul premier, spiegando che il non raggiungimento del numero legale equivale a una sfiducia (anche se questo non è previsto dai regolamenti). Da ore si contavano e ricontavano i presenti. L'asticella per il numero legale era fissata a 315: la Camera ha 630 deputati, ma il presidente Gianfranco Fini non vota e quindi non viene conteggiato.  Negli ultimi minuti, vincenti, il pressing è stato sui radicali, che alla fine hanno deciso di entrare in aula.. "I radicali hanno diritto a fare quello che vogliono, ma non cambia nulla", ha spiegato Massimo Donadi. "O la maggioranza ha il numero legale da sola o non ce l'ha. In quest'ultimo caso, con ogni probabilità parteciperemo al voto". Tra Pd (allo sbaraglio) e radicali, ormai, è scontro totale. Decisivi i radicali - A gettare acqua sul fuoco sulla questione del numero legale ci aveva pensato poi il servizio dell'Assemblea di Montecitorio, che aveva reso noto che i deputati in missione sono 50. L'articolo 46 del Regolamento della Camera stabilisce che i deputati in missione sono "computati come presenti per fissare il numero legale". Da quota 316 va quindi sottratto il numero 50, più l'unità rappresentata da Fini: il numero legale era stato fissato a 265. Ma alle opposizioni non basta, e sostengono che anche con 315 voti di fiducia incassati Berlusconi dovrebbe rassegnare le dimissioni poiché equivarrebbero alla metà esatta dei deputati. Il giallo si era poi ulteriormente complicato: è stato chiarito che i deputati in missione che hanno partecipato al voto non sono più considerati in missione. Così la cifra definitiva verrà stabilita a voto concluso, quando sarà chiaro quanti dei deputati in missione abbiano effettivamente votato. Ma i dubbi sono stati fugati al termine della prima chiama, quando avevano votato in 322, numero legale raggiunto grazie anche ai radicali (5) e ai due deputati del Svp. Gli scajoliani - Non è servito il lungo incontro di giovedì sera a Palazzo Grazioli durato fino a tarda notte. Il premier Silvio Berlusconi non è riuscito a convincere lo scajoliano Fabio Gava, relatore del caso Milanese in giunta per le Autorizzazioni, che non voterà né per la fiducia né per la sfiducia. Una astensione annunciata, visto che nei giorni scorsi Gava aveva già espresso le sue riserve, chiedendo un allargamento della maggioranza a forze come l'Udc. Ciò non toglie che da pidiellino convinto il deputato non abbandonerà il progetto del Popolo delle libertà. Diversa invece la posizione di Giustina Destro, ex sindaco di Padova, che ha adottato la stessa linea di Gava, il non voto, ma che sembra già proiettata verso altri lidi. La sua uscita dal Pdl è infatti certa, pronta ad abbracciare l'eventuale progetto politico di Luca Cordero di Montezemolo. Tra i 12 deputati schierati con Claudio Scajola, oltre a Gava e Destro, quelli ancora indecisi sarebbero altri due, tra cui Giovanni Tortoli. I rimanenti avrebbero giurato fedeltà a Berlusconi come dettato dall'ex ministro Scajola. Giallo Sardelli - A far tremare l'esecutivo ci ha pensato anche Luciano Sardelli di Popolo e Territorio. "Al presidente Berlusconi ho detto che non voto la fiducia e che dovrebbe fare un passo indietro e non diventare il capro espiatorio della situazione". Il problema, ha aggiunto Sardelli, "non è numerico ma politico". Successivamente, però, lo stesso Berlusconi ha fatto rientrare l'allarme: "Sardelli? C'è, c'è - ha assiucrato il Cavaliere -. E voterà la fiducia". Ma infine, dopo l'incontro tra Sardelli e il Cavaliere, il deputato di Popolo e Libertà ha ribadito che non voterà. Poi al fronte di coloro che vogliono sfiduciare il premier, secondo le voci che circolavano a Montecitorio, si era aggiunto Michele Pisacane, anche lui di Popolo e Territorio, che risulterebbe assente.

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