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Ma Napolitano rifiuta l'aut aut: "Se è crisi tocca a me decidere"

Il Quirinale infastidito dal diktat del Cav: "O me o le elezioni". In caso di débacle è il Quirinale che deciderà secondo la prassi

Lucia Esposito
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La risposta del Quirinale alle parole del presidente del Consiglio davanti all'Aula di Montecitorio è un secco e piuttosto infastidito “no comment”. «Il presidente», spiegavano ieri sera i collaboratori di Giorgio Napolitano, «ha parlato ieri con estrema chiarezza». Non cambia nulla, quindi, rispetto ai due comunicati in cui Napolitano aveva espresso «preoccupazioni» e «interrogativi» circa la capacità della maggioranza e del governo di agire. L'inquilino del Colle è stato per tutto il giorno a Genova, dove ha partecipato al VII Simposio della Cotec Europa e ha incontrato i lavoratori della Fincantieri. Impegni che, naturalmente, non hanno impedito, né a lui, né ai suoi collaboratori, di seguire l'intervento del premier a Montecitorio. Ma l'impressione è che le parole del capo del governo non abbiano sciolto nessuna delle riserve espresse nelle due note. Semmai, ad aggravare la situazione, è quell'aut-aut posto da Berlusconi: “O io o il voto”. Parole che il Quirinale evita di commentare. Salvo ricordare, Costituzione alla mano, che «il modo in cui il presidente esercita le sue prerogative è chiaro». E, sottinteso, non lo decide il presidente del Consiglio. Sta scritto nella Carta. Dopo di che il presidente del Consiglio, si aggiunge, è libero di fare le valutazioni che vuole. Che, però, restano valutazioni sue. In caso di una crisi di governo, come Napolitano e i suoi collaboratori hanno ricordato tante volte, ci si atterrà a quanto prevede la Costituzione e la prassi. Il presidente, cioè, prima di sciogliere il Parlamento, consulterà i presidenti di Camera e Senato e i capigruppo per vedere se possa esistere in Parlamento un'altra maggioranza. Una condotta, si ricorda per l'ennesima volta, che si è tenuta anche quando cadde il governo Prodi: Napolitano diede l'incarico al presidente del Senato. Poi, verificato che non c'era un'altra maggioranza, sciolse il Parlamento. Questo accadrà, in caso di crisi di governo. Insomma, altro che aut-aut del premier. Del resto, se c'è un punto su cui Napolitano non transige è proprio questo: le sue «prerogative». Sono decine gli interventi e i comunicati in cui ha ricordato, puntiglioso, che i suoi compiti sono ben definiti. Lo ha detto tante volte all'opposizione, quando gli veniva chiesto di non firmare leggi della maggioranza o, in questi giorni, di mandare messaggi al Parlamento per “sfrattare” il premier. E lo ha ricordato altrettante volte alla maggioranza, ogni volta che sono arrivati messaggi come quello lanciato ieri dal premier. Come il 29 settembre 2010 quando, davanti all'Ecole normale superieure di Parigi, ha spiegato come il capo dello Stato, in Italia, esercita le sue prerogative «senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti». O come il 3 dicembre 2010, quando dal Quirinale si sottolineava che «nessuna presa di posizione politica può oscurare il fatto che ci sono prerogative di esclusiva competenza del Presidente della Repubblica». Resta aperto, invece, il problema sollevato l'altro giorno. Di fronte al «manifestarsi di acute tensioni» nel governo e nella coalizione «con le conseguenti incertezze» si tratta di capire se la maggioranza «sia in grado di operare  con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili». Il fatto che il decreto sviluppo non sia pronto e che ieri sia stato rinviato il disegno di legge di stabilità non sono bei segni. Almeno per il Quirinale. di Elisa Calessi

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