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Imbavagliati Bechis: "I blog non sono liberi. Se scherzi sulla Marcegaglia, finisci al rogo"

Sul sito di Libero il vicedirettore ha ironizzato sui tacchi di Emma. I paladini anti-bavaglio chiedono la chiusura del giornale

Costanza Signorelli
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Sono una iena ridens, ed è il complimento più grazioso di cui mi ha omaggiato il sito Internet dell'Unità e la sua gentile popolazione di internauti. Gli altri mi hanno dato del divulgatore di zizzania e calunnie, del macchinista della macchina del fango, dell'uomo che fa schifo, del servo di Silvio Berlusconi, dello stronzo, del leccaculo, della vipera, del sedicente giornalista e mille altre amenità. Tutti complimenti a cui ci si abitua facendo il mestiere da giornalista. C'è chi non ti ama, e lo sai. Di solito accade di prendersi qualche insulto quando fai inchieste piccanti o divulghi notizie scomode. Non ci sarebbe manco da parlarne. Questa volta ad avere scatenato le contumelie dei fans internet dell'Unità sono state cinque righe scherzose a commento di una foto di Emma Marcegaglia pubblicata sul blog “Spalle al muro” nel sito Internet di Libero. La foto ritraeva il presidente di Confindustria in tv da Fabio Fazio con dei sandali bianchi e una zeppa assai vistosa e abbondante: fra 12 e 15 cm di tacco. Scherzando ho scritto che aveva superato perfino il celebre e non propriamente estetico tacco rialzato di Silvio Berlusconi. E ho proposto alla Marcegaglia tre ironiche soluzioni all'eccesso di sopra-elevazione: un taglio lineare alla Giulio Tremonti (tacco ribassato), un abbattimento tipo eco-mostro di Punta Perotti o un bel condono edilizio che va tanto di moda. Naturalmente era scherzo (poche righe) e null'altro pretendeva di essere. Ma i giornalisti dell'Unità hanno visto e rilanciato sul sito del loro quotidiano, accusando Libero di avere mosso «la macchina del fango» (che noia! almeno un po' di fantasia…) e addirittura di avere in animo di fondare su quell'eccesso di tacco confindustriale un “caso Boffo bis”. Se i giornalisti dell'Unità tirano la volata, il popolo accorre. Probabilmente non legge nemmeno quanto era stato scritto, e via con gli insulti. Quelli passano e orma non lasciano. Ma in mezzo ci sono parole da prendere un po' più sul serio. Si invoca la «chiusura di ufficio di Libero», si invita ad usare il quotidiano «come carta igienica», si spiega che Giornale e Libero hanno «gli unici giornalisti per i quali il bavaglio sarebbe d'obbligo». Ora nessuno pretende che una battuta faccia ridere e perfino che un articolo o una notizia interessino e debbano piacere a chiunque. Però salta all'occhio che questo popolo degli insulti e che invoca la censura nei confronti di questo giornale e del suo sito Internet è proprio lo stesso che una settimana fa si sgolava sul terribile bavaglio ai blog che il governo ipotizzava. E intendiamoci, quel bavaglio era assai più tenue: imponeva solo il diritto di rettifica alle persone insultate o diffamate nei blog. Nel nostro caso questi libertari della domenica vanno più per le spicce: chiudere baracca e burattini, e magari bruciare in piazza come streghe i giornalisti che non vanno a genio. In fondo è proprio la stessa filosofia contenuta nell'articolo dell'Unità, scritto da altri giornalisti. Ovunque si esprima un'idea diversa dalla loro è «macchina del fango». La satira non è mai concessa: riservata per legge non scritta a comici e graffitari cresciuti a salotti e Pci. Vanno più al sodo: non contestano un'opinione diversa, ma che quella altrui possa essere opinione: è fango, quindi non ha diritto di esistere. È  un paese strano e infelice quello in cui viviamo. Chi ci governa è talmente pasticcione e timoroso, che da anni fa la figura del censore, dell'annientatore di libertà, del violentatore del diritto senza averne mai toccato in realtà nemmeno un rigo. Quelli che stanno all'opposizione sono lì in prima fila a gridare “libertà. libertà”, aggrappati alla Costituzione come al sacro testo, in testa ad ogni protesta. Quando arriva il loro momento, non proclamano né minacciano. Ti chiudono. In silenzio. di Franco Bechis

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