Facci: "Intercettazioni, o si pubblicano o si vietano"
Immaginate se decidessero giudici e legali quali conversazioni rendere pubbliche: i giornalisti diventerebbero dei passacarte
Che noia. Giulia Bongiorno fa sempre un sacco di scene ed è interessata solo a «riforme condivise» e «non afflittive o umilianti» che si traducano regolarmente nel compromesso e nell'annacquamento e poi nel nulla, così i suoi amici magistrati sono contenti. Ora si è dimessa dalla Commissione Giustizia (detto tra noi: chissenefrega) perché il governo si è inventato questa «udienza filtro» che ben prima di un processo riunisca pm e giudici e avvocati per decidere quali intercettazioni possano essere pubblicate e quali invece debbano sparire. Il criterio è quello ultra-discrezionale della «rilevanza», chimera soggettiva che aleggia su una norma che a parere di chi scrive serve soltanto a essere elusa: esattamente come capita adesso, anzi peggio, perché ufficializza la perfetta discrezionalità delle parti che a questa udienza partecipano. Immaginate il mercato che potrebbe nascerne in un paese come il nostro: pm e avvocati che trattano sui verbali (io ti faccio pubblicare quello, tu questo) con una parte che però rimane regolarmente esclusa in fondo alla filiera: i giornalisti, che in questo modo diverrebbero solo i fruitori finali di pacchetti di carte e intercettazioni preconfezionate, velinone ufficiali e comunque premature. Non hanno ancora capito, dalle parti del Governo, che in tema di intercettazioni puoi fare soltanto due cose: vietarle o non vietarle. di Filippo Facci