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Il pm: "Amanda? Forse non c'era"

Giuliano Mignini rivela: c'erano altre prove e la Knox poteva essere anche nell'altra stanza. Pratillo Hellmann: "Assolti, ma forse sono colpevoli"

Lucia Esposito
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Che qualcosa non abbia funzionato nel processo ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l'omicidio di Meredith Kercher è fin troppo facile da sostenere. Libero, infatti, ha ribattezzato i pm che hanno condotto l'indagine "le toghe del pastrocchio". E a dimostrare il fatto che siano troppi i punti oscuri - e difficili da digerire - del giallo di Perugia ci sono anche le parole del presidente della Corte d'Appello che lunedì ha assoloto Amanda e Raf, Claudio Pratillo Hellmann. "Ho la coscienza a posto - premette -. Io non posso sostenere che Rudy Guede sia il solo a sapere cos'è successo quella notte, di certo lui lo sa e non l'ha detto. Forse lo sanno anche i due imputati, Amanda Knox e Raffaele Sollecito, perché la nostra pronuncia di assoluzione è il risultato della verità che si è creata nel processo. Ma la verità reale - aggiunge - può essere diversa. Loro possono essere responsabili, ma non ci sono le prove. Forse, dunque, sanno anche loro ciò che è successo quella notte, ma a noi non risulta". Il presidente della Corte d'Appello, in buona sostanza, ammette: "Li abbiamo assolti, ma forse sono colpevoli". Le toghe del pastrocchio, insomma, come dimostra anche l'articolo che segue di Antonio Cantoro: il pm dell'accusa Giuliano Miglini rivela che c'erano delle prove in base alle quali si sarebbe potuta collocare Amanda Knox in una stanza differente rispetto a quella del delitto. Giuliano Mignini sostiene di non avere nulla di cui rimproverarsi, come pubblico ministero, se non l'aver dato retta al Servizio centrale operativo, lo Sco, che gli chiese di ritardare l'autopsia sul cadavere di Meredith. Lo dice oggi, ma lo ha detto già durante un colloquio con il giornalista Robert Graham del settimanale inglese The Sun la scorsa primavera: una lunga intervista registrata («occultamente», ribatte il pm) nella quale parla delle indagini, critica l'operato della polizia, la paragona ai «più freddi» carabinieri, espone una «teoria» inedita sulla collocazione di Amanda Knox fuori dalla stanza di Mez. Poi fa un bizzarro sillogismo: gancetto uguale presenza di Raffaele uguale presenza di Amanda. A giugno l'avvocato Luca Maori, legale del giovane biscegliese, produce in giudizio il file della conversazione con il testo sbobinato. Mignini minaccia: «Chi estrapolerà le mie affermazioni si assumerà le sue responsabilità». Ma le frasi del magistrato sono chiare, nette, meritano attenzione. LA SCELTA DEI REPERTI Mignini spiega: «Tutta la stanza... noi non abbiamo analizzato [...] la polizia scientifica non ha potuto analizzare tutti i reperti della stanza [...]. Secondo me probabilmente c'erano delle tracce, ma non sono state… la polizia [...] non le ha viste tutte, ha estrapolato, ha analizzato, soprattutto si è soffermata sul gancetto, sul coltello e sulle cose... ma probabilmente c'erano delle tracce, non possiamo escludere che ci fossero, perché la polizia [...] ha operato una scelta [...] ha selezionato le tracce più significative». A suo giudizio. Il magistrato parla a lungo di «impronte in entrata, che vanno verso la stanza, del piede… dei piedi dei due imputati… la stanza del delitto». Poi evidentemente qualcosa non gli torna, e si incarta: «Com'è possibile che sono stati solo nella stanza, nel bagnetto, nel… nel corridoio e che si dirigevano o uscivano dalla stanza del delitto? Perché le impronte dei piedi dei due imputati, se non sbaglio, sono anche in uscita dall'appartamento [...] uscivano da lì, erano in uscita, erano, mi pare, guardi… adesso non mi ricordo, perché… comunque erano in entrata e in uscita, sulla… confine… sulla porta, andavano dentro, e uscivano dalla stanza». Poi si organizza: «Il sangue misto di Amanda e Meredith nel bagnetto vicino, l'impronta del piede insanguinato di Sollecito nel bagnetto, le impronte dei piedi dei due imputati sul corridoio», quindi né in entrata né in uscita. Fuori. Incalza Graham: «In quella stanza non c'è nemmeno uno straccio di prova legale contro di lei […] non c'è una sola traccia genetica di Amanda». Mignini obietta: «C'è una traccia… c'è il gancetto di reggiseno col Dna di Sollecito». E che cosa c'entra? L'intervistatore trasecola. E qui viene il passaggio più interessante. AMANDA NON C'ERA «Guardi che il delitto… teoricamente il delitto Amanda poteva averlo anche istigato [...] stando… se lei mi dice non… non si trova [la traccia, ndr]… il delitto uno potrebbe averlo fatto anche stando nell'altra stanza, eh…». A questo punto Mignini presenta un sillogismo oscuro, peraltro basato tutto sulla presenza (poi sconfessata) del Dna di Raffaele sul reggiseno di Mez: «Teoricamente, cioè, io le dico questo: secondo me lei era lì, e lo dimostra… perché c'era Sollecito, e c'era il gancetto, il gancetto di reggiseno… c'è Sollecito, c'è lui, c'è Meredith». L'intervista termina con gli accordi per l'indomani: andrà il fotografo per scattargli qualche primo piano: «Sperando che vengano meglio di quando me l'hanno scattate quando c'era l'udienza preliminare, sono foto orrende». Poi ti chiedi perché la Corte ha assolto Raffaele e Amanda. di Antonio Cantoro

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