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Il Capo dello Stato arresta Bossi

Il Colle duro contro il Carroccio: "Il popolo padano non esiste. Nel '43 un separatista fu arrestato". La replica di Calderoli

Andrea Tempestini
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Arrivati a questo punto della partita, ammesso che di partita si passa parlare essendoci in campo soltanto la squadra degli antiberlusconiani duri e puri, è lecito aspettarsi di tutto. Persino che alle durissime parole pronunciate a Napoli dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, facciano seguito i fatti, con i Carabinieri in piazza e i rivoltosi in manette. «Si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia», dice Napolitano, facendo riferimento ai raduni della Lega Nord nel pratone di Pontida, ricordando, poi,  che «nel 43-44 l'appena rinato Stato italiano, di fronte a un tentativo di organizzazione armata separatista, non esitò a intervenire in modo piuttosto pesante con la detenzione di Finocchiaro Aprile». Un richiamo, quello del capo dello Stato, che rimanda immediatamente a Umberto Bossi, anche se il parallelo appare alquanto  forzato. Andrea Finocchiaro Aprile, dopo lo sbarco degli alleati nel 1943, fondò il Movimento Indipendentista Siciliano e collaborò poi con l'Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia (Evis). Nel 1944 scampò ad un attentato e nello stesso anno fu arrestato per ordine del governo Parri.  Certo, altri tempi, altra storia, altro contesto, ma se Bossi è come Aprile, Napolitano vorrebbe essere come Ferruccio Parri, definito da Indro Montanelli «l'unico presidente del Consiglio italiano in grado di meritarsi  la qualifica di galantuomo, di politico onesto e probo». Storie diverse, quella di Parri e Napolitano, come ricorda il leghista Matteo Salvini: «Napolitano rimane un simpatico ex comunista. Fu europarlamentare e se facesse un salto a Bruxelles, capitale dell'Europa, toccherebbe con mano che la separazione è democraticamente nei fatti». Per Parri parla la storia, per Napolitano la cronaca. E la cronaca napoletana delle ultime 24 ore del presidente della Repubblica mette in fila una lunga serie di attacchi frontali, di cui sarà difficile non tener conto. «Nell'ambito della Costituzione e delle leggi non c'è spazio per una via democratica alla secessione», ha esordito Napolitano nel discorso alla facoltà di Giurisprudenza del capoluogo campano, sottolineando che «non c'è un popolo padano». Concetto, quella dell'inesistenza della Padania, già espresso anche in passato dall'inquilino del Quirinale, ma che a Napoli ha rafforzato sostenendo che «che la secessione è fuori dalla storia. Mi pare che il livello di grottesco sia tale che dovrebbe bastare questo richiamo a far capire che si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia». Al capo dello Stato, che ha parlato anche di legge elettorale «da cambiare in  Parlamento» e di forte squilibrio fra «fra uomini e donne in politica», ha duramente replicato il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, esponente di primo piano del Carroccio. «Napolitano è sempre molto saggio, ma fa finta di dimenticare il diritto universalmente riconosciuto alla autodeterminazione dei popoli». Calderoli ha poi aggiunto che «il presidente sa bene che la Lega, da oltre 20 anni, è garanzia di democrazia». Meno diplomatiche le reazioni di Mario Borghezio e Francesco Speroni che parlano di Napolitano come di un «nemico della libertà». La base leghista, poi, va già piatta, facendo sentire  la propria rabbia da Radio Padania: «Diceva che non esistevano neanche le foibe, cosa volete aspettarvi da uno che era amico di un certo signor Tito?». Il presidente «comunista», insomma, non piace ai seguaci del Carroccio. Dal fronte politico vero e proprio uno dei primi a replicare alle parole di Napolitano è il leader dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro. «Ha fatto bene il capo dello Stato a richiamare all'ordine chi si permette di minacciare la divisione del Paese. Purtroppo non si tratta di “quattro amici al bar”». Per Anna Finocchiaro, presidente del senatori del Pd, Napolitano ha dato una «lezione di politica e democrazia».  Una lezione sulla quale saranno in molti a doversi interrogare. di Enrico Paoli

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