Rifondare il centro destra? Servirebbe un Berlusconi
Il sondaggio di Libero rivela che gli elettori di Pdl e Legano continuano a chiedere tagli alla Casta: la rivoluzione sempre promessa
L'andamento della consultazione lanciata a inizio settimana da Libero tra i nostri lettori e gli elettori di centrodestra sui punti chiave da cui ripartire per rifondare una coalizione in acclarato stato narcolettico sta dando i risultati che questo giornale si aspettava. La priorità delle priorità è la riduzione della spesa pubblica e dei costi della politica, ritenuta quattro volte più urgente di riforma della giustizia, presidenzialismo, privatizzazioni, liberalizzazioni e perfino della riforma fiscale; insomma, di tutti quegli argomenti su cui politici, sindacati, industriali e giudici si stanno scannando da anni, fino ad aver paralizzato lo sviluppo istituzionale e politico nel Paese. Partecipa al nostro sondaggio: da che punto deve ripartire il centro destra? Scriveteci le vostre proposte alla e-mail [email protected] La morale sembra essere dunque che dal 1994 - anno della discesa in campo del Cavaliere - a oggi, l'elettore di centrodestra non è cambiato di una virgola. Alla maggioranza scelta chiede di smantellare la vecchia politica, adesso come 17 anni fa percepita come di stampo consociativista, e con essa tutti i privilegi, le rendite e le iniquità economiche e sociali che da sempre sono nutrimento e ragion d'essere della nostra classe dirigente. Fisco umano, giustizia equa, liberalismo, pensioni sostenibili sono considerati sì necessità impellenti ma vengono percepiti come naturale conseguenza della rottamazione degli antichi rituali della vita pubblica. Non essendo cambiata la domanda degli elettori, ne consegue che la crisi del centrodestra è da addebitarsi a un cambiamento dell'offerta. Sono Berlusconi e Bossi a essere cambiati, o comunque a non riuscire a essere nei fatti fedeli alla promesse e all'immagine elettorale. Crivellato da un'offensiva giudiziaria partigiana che avrebbe steso chiunque, il Cavaliere è rimasto imbalsamato dai tempi e dai modi levantini della politica nostrana. Ostaggio di alleati e ministri, pare ormai rassegnato a non fare mai quella rivoluzione liberale che da sempre annuncia. Il suo popolo lo sente e alcuni sono tentati dal voltargli le spalle. Ma un altro sondaggio di Libero sembra restituirgli forza: oltre il 60% dei votanti vorrebbe che Berlusconi governasse fino alla scadenza naturale della legislatura, nella primavera 2013. Segno che sono ben consci che al momento non esistono alternative migliori. In più, la maggioranza tiene, i numeri ci sono. In settimana il governo ha resistito al decimo assalto parlamentare dal 14 dicembre 2010 - data della mozione di sfiducia firmata Fini - portato dall'opposizione per farlo cadere. La crisi morde, ma checché se ne dica l'Europa sta sostenendo economicamente l'Italia e il suo governo; e anzi, le difficoltà della congiuntura hanno di fatto preparato l'opinione pubblica ad affrontare sacrifici e cambiamenti strutturali dolorosi ma che nella sostanza non costituiscono altro che l'abbattimento di privilegi ormai insostenibili. Le fonti vicine al Cavaliere riferiscono che Silvio è determinato a restare a Palazzo Chigi fino alle elezioni ed è molto tentato dall'ipotesi di ricandidarsi. È questo allora per il premier il momento di avere il coraggio di essere se stesso e quello che i suoi elettori vogliono (almeno così rivela la consultazione di Libero). La sinistra ormai non conta nulla; Confindustria, sindacati e magistrati hanno un consenso sempre più flebile nell'opinione pubblica; gli alleati - si chiamino di volta in volta Casini, Fini o adesso perfino Bossi - dei problemi li creano sempre perché, giustamente, giocano la loro partita. A Berlusconi non resta che giocarsi il tutto per tutto su se stesso e le proprie convinzioni. Nel Pdl a nessuno conviene farlo cadere perché nessuno, tantomeno Alfano, ha da guadagnare dalla sua caduta. Gli interventi degli onorevoli che in questi giorni hanno detto la loro su Libero su come rifondare il centrodestra lo dimostrano. C'è chi partirebbe dalla riforma delle pensioni, chi da quella della giustizia, chi dalle tasse; ognuno secondo le proprie inclinazioni e le competenze, ma nessuno partirebbe senza Berlusconi. Nessuno - ahinoi - partirebbe dallo smantellamento della casta e dei privilegi, il che significa che alla fine è sempre Berlusconi, che invece proprio da questo partirebbe, quello più in linea con gli elettori di centrodestra (se non l'unico). Quanto alla Lega, brilla l'assenza dei suoi esponenti nel nostro dibattito. Libero li ha sollecitati ma nessuno fiata. Anche Bossi è cambiato molto in questi 17 anni, e non solo per la malattia. Sul territorio gli amministratori padani hanno spesso mantenuto le promesse e il Carroccio è stato in grado di creare una classe dirigente locale vicina alle aspettative dei suoi elettori. Anche i ministri sono stati quasi sempre incisivi. Ma in Parlamento le cose sono andate diversamente e spesso la Lega ha usato la ribalta nazionale solo come palcoscenico per la propria propaganda o teatro di giochi di potere. Raramente ha voluto spingere fino in fondo la forza rivoluzionaria delle sue idee. Bossi l'ha sempre piegata a esigenze di bottega, e per questo ora soffre anche lui una crisi di credibilità nei confronti del proprio elettorato. La lettera di un sindaco leghista di antica militanza, che due giorni fa sul Corriere diceva di vergognarsi ormai del proprio partito ha suscitato scalpore e approvazione. L'uomo è stato chiamato da Maroni e da Tosi ma anche in questo caso nessuno ha fatto filtrare nulla. Questo silenzio, come quello sull'iniziativa di Libero è la prova che nella Lega, a differenza che nel Pdl, si lavora già per la successione; quindi meglio tacere, perché chi parla può bruciarsi. Anche di questa lotta intestina che dilania e distrae il Carroccio potrebbe approfittare il premier per tornare a fare il Berlusconi. di Pietro Senaldi