Toghe di Napoli non mollano S'inventano un altro reato
Caso Tarantini. Per mantenere la titolarità dell'inchiesta ipotizzano "induzione a fare dichiarazioni mendaci". Assedio al Cav
Le toghe di Napoli non mollano. Così, se il gip Amelia Primavera ribadisce che l'inchiesta deve passare a Roma, nel corso della discussione davanti al Riesame i pm Curcio, Piscitelli e Woodcock s'inventano un nuovo reato che potrebbero contestare agli altri indagati in alternativa a quello di estorsione. La piroetta giudiziaria a loro parere trova fondamento nell'articolo 377 bis che punisce l'induzione a fare dichiarazioni mendaci davanti all'autorità giudiziaria. Secondo quanto si è appreso, l'ipotesi potrebbe essere formulata in base a nuovi atti sull'inchiesta sul giro di escort della Procura di Bari, atti che sono stati allegati al fascicolo sul presunto ricatto ai danni di Silvio a Berlusconi. La decisione del Riesame - Venerdì mattina sono giunti alla Procura di Roma gli atti dell'inchiesta napoletana. I pm hanno iscritto nel registro degli indagati Gianpaolo Tarantini, la moglie Angela Devenuto e Valter Lavitola: l'accusa è quella di estorsione. Per quel che concerne le misure cautelari, gli inquirenti capitolini aspetteranno la decisione del Tribunale del Riesame che deciderà sulla remissione in libertà o per l'attenuazione delle misure nei confronti dei tre indagati. Per la decisione c'è tempo fino al prossimo dieci ottobre. La competenza - Nel pomeriggio di venerdì si è tenuta un'udienza di quattro ore davanti al Riesame, che deve esaminare le istanze delle difese di Tarantini e Lavitola. Secondo quanto è trapelato, la procura di Napoli ha ribadito di avere la competenza territoriale sul caso e che l'autorità giudiziaria partenopea debba avere la titolarità dell'indagine poiché non è stato ancora accertato il luogo in cui avrebbe avuto inizio il reato.