Giulio fragile, Cav comanda e si ritoccano le pensioni
Il ministro è in imbarazzo dopo il voto su Milanese. Sacconi rilancia sulla previdenza: "Necessario un confronto tra le parti". 'Niet' della Cgil
La parabola del superministro Giulio Tremonti, da mesi, segue una traiettoria discendente. Ad aver aumentato l'inclinazione del piano, per ultimo, l'harakiri del titolare del dicastero dell'Economia: non si è presentato in aula per difendere il suo ex consigliere Marco Milanese. Nel Pdl si è scatenato un putiferio: Tremonti è un marziano nel partito. Morale, il peso politico di Giulio si è andato ulteriormente affievolendo. E così, nelle crepe che si aprono per il declino dell'uomo di via XX settembre, cerca di farsi strada la riforma delle pensioni. "Opportuno un avviso comune" - Una conferma piuttosto inequivocabile è arrivata dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Le parti sociali - ha spiegato a margine dell'assemblea dei consulenti del lavoro - dovrebbero trovare un'intesa tra loro" sul sistema previdenziale. Il ministro ha aggiunto che "sarebbe opportuno un avviso comune sulla transizione del sistema: pensioni delle donne, sistema contributivo e aspettativa di vita. Se le parti trovassero un'intesa sulle pensioni aiuterebbero la funzione del governo". "Confronto tra imprese e sidnacati" - Una riforma del sistema previdenziale che equipari l'Italia agli altri Paesei europei, anche e soprattutto alla luce dell'instabilità dei mercati, è un'esigenza sempre più stringente. Sacconi ha detto di apprezzare l'intesa raggiunta lo scorso 28 giugno, ma puntualizza: "Si tratta di un accordo metodologico". Così incalza i sindacati e le associazioni degli imprenditori a parlare anche "di lavoro e pensioni", poiché al momento sulla previdenza le parti sociali "sono staccate". Il ministro, dopo queste dichiarazioni, non poteva non aspettarsi una domanda secca: "Il governo intende intervenire sul capitolo pensionistico?". La vaga risposta lascia aperta ogni possibilità: "Al momento - spiega Sacconi - stiamo lavorando sulla crescita e sull'accelerazione delle infrastrutture". Barricate della Cgil - La Cgil non ha perso tempo e ha subito reso pubblica la sua contrarietà: "No a nuovi interventi sul sistema previdenziale". Secondo il sindacato guidato da Susanna Camusso già con le norme approvate fino ad ora le donne si troveranno ad andare effettivamente in pensione di vecchiaia nel 2031 a 68 anni e due mesi. La Cgil, così, non mostra - al solito - alcuna disponibilità ad accelerare i tempi di trasizione come invocato dal ministro Sacconi. L'insieme delle norme già in vigore con le manovre del 2010 e del 2011 - ha sottolineato la Cgil in uno studio parzialmente anticipato dall'agenzia Ansa - "porteranno l'età effettiva delle donne - tra incremento previsto per la pensione di vecchiaia, aumento legato all'aspettativa di vita e la cosiddetta finestra mobile - a 68 anni e due mesi nel 2013". Le risposte di Cisl e Uil - Posizioni più concilianti, ma comunque di chisura anche dalla Cisl e Uil. Maurizio Petriccioli, segretario confederale Cisl, ha risposto al ministro del Lavoro: "Non ha senso su una materia come le pensioni fare avvisi comuni. Qualsiasi riforma passa attraverso un confronto concertativo leale e concreto tra governo e parti socili". Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, ha invece invocato "interventi al rialzo", poiché "le pensioni sono troppo basse, e lo saranno soprattutto per i giovani: se questo è il tema siamo disposti a parlarne".